Letteratura dell'immaginario, intervista a tre. Silvia treves, Massimo Citi, Nino Martino

Nino Martino

Ci sono cose che nascono da lontano, poi cambiano i tempi, cambiano le persone, la società e diventano altro, acquistano una diversa importanza. E forse vale la pena di svilupparle, invece di dimenticarle.
C’è stato un tempo in cui fiorivano le librerie, i libri vendevano, e, udite, udite la saggistica andava a ruba. Per la narrativa, accanto alla narrativa italiana (Pavese, Vittorini, Moravia, Bianciardi, Calvino,ecc. ecc.), si traducevano opere da tutto il mondo. Era in atto una rottura della sovrastruttura, della cappa di piombo che aveva avvolto l’Italia e c’era voglia di leggere, di aprirsi, finalmente, di sapere come si viveva in posti lontani, magari attraverso la letteratura di quei paesi, magari attraverso trattati di sociologia, di critica sociale.
Quest’articolo nasce da una chiacchierata con Silvia Treves e Massimo Citi. Massimo Citi aveva a quell’epoca una libreria, e non solo vendeva libri, ma ne era appassionato lettore, come noi tutti di allora.
Molte librerie erano nate sull’onda di una “operazione culturale”, una volontà, attraverso il confronto di idee, attraverso la diffusione di una cultura critica, di accentuare la spaccatura della cappa di piombo della sovrastruttura  (siamo nel cosiddetto ’68), di rendere impossibile la sua ricucitura, di favorire il cambiamento del mondo.
Un’utopia? Certo: se si rispolvera il valore positivo dell’utopia allora sì, era un’utopia..
La passione per la letteratura dell’immaginario viene da quegli anni. Si scopriva la letteratura di paesi lontani e anche delle proprie radici, rivisitate in ottica diversa.
Fu il boom della letteratura latinoamericana, per esempio. Il realismo magico di Garcia Marquez, le tradizioni andine di Arguedas e molti altri, trasfigurate in una narrativa di grande impegno sociale, tesa a cambiare il mondo, di stare dalla parte degli oppressi, degli sfruttati, delle rivolte di quel periodo.
Calvino scriveva la sua trilogia il barone rampante, il cavaliere inesistente, il visconte dimezzato. L’elemento del fantastico era lo strumento per narrare d’altro, di rompere la vita quotidiana. Di costringere a pensare criticamente.
Si scriveva e si pubblicava perché si credeva nella possibilità di cambiamento e che queste azioni l’avrebbero favorito.
E se voglio cambiare il mondo allora anche nel campo della scrittura devo sperimentare, affrontare, criticare l’esistente.
Da lì probabilmente nasceva la passione per la letteratura dell’immaginario, per le possibilità che offre. Nella narrazione si usa ogni strumento, ogni genere, ogni tecnica per indagare la realtà e le sue contraddizioni al di là delle apparenze.

La definizione di letteratura dell’immaginario che si può dare oggi è più generale del puro fantastico, comprende molti filoni, molte possibilità, molti modi di scrittura. Fantascienza, fantastico, fantasy, ecc. Che importanza ha? Da dove viene l’ansia dell’etichettatore? Noi, allora, non si aveva il problema. Se una cosa era ben scritta, se diceva qualche cosa, se lasciava un’impronta, se faceva capire altro al di là della maschera quotidiana della vita allora si leggeva, si comprava, si scriveva. E, credetemi, le librerie vendevano.

La fantascienza uscì dalle pastoie di una sotto letteratura a volte un po’ ridicola – vedi certe copertine e certi racconti degli anni ‘30 – ed ebbe una una prima rivoluzione con l’uscita del primo numero di Galaxy, ottobre 1950.

copertina di un numero di Amazing stories
copertina di un numero di Amazing stories
copertina di unn umero delal rivista Fantastic stories
copertina di unn umero delal rivista Fantastic stories
copettina del primo numero di Galaxy magazine, 1950
copettina del primo numero di Galaxy magazine, 1950

Il meccanismo della fantascienza, per esempio può partire da questo: se io spingo la tecnologia a nuove frontiere e mi chiedo “cosa succederebbe se”. o immagino questioni sociologiche spinte all’esttemo. Esempio stupendo è “Il tunnel sotto il mondo” di Frederick Pohl. Poi c’è l’incontro con l’alieno: l’altro da sé e il rapporto che si instaura è un allegoria, un approfondimento di quello che siamo.

La fantascienza non è predittiva, il suo intento, il suo compito, non è predire la tecnologia del futuro. Magari qualche cosa si realizza, ma per esempio in un classico di Simak, anni senza fine, si è avanti di centinaia di anni e i giornali sono di carta ecc.
Ma ora lascio la parola ad altri…


Massimo Citi

L’immaginario è, in sostanza, la natura stessa della narrazione. Quando si “racconta una storia” che essa derivi da una serie di elementi realmente avvenuti o si tratti di pura invenzione si sarà entrati nel terreno dell’immaginario, dal momento che qualunque narrazione per essere raccontata deve subire il trattamento del cervello dell’io narrante che, per quanto fedele alla realtà, non potrà evitare di modificare in modo anche in maniera quasi inavvertibile la realtà accaduta.
In sostanza ciò che viene narrato non è “la realtà” ma parte di una meccanismo di comunicazione che costituisce la base dei rapporti quotidiani tra umani. Ciò che chiamiamo “immaginario” costituisce la base stessa del narrare ed è alla base delle principali forme di narrazione, senza alcuna distinzione di genere.

 

L’immaginario è, in sostanza, la natura stessa della narrazione. Quando si “racconta una storia” che essa derivi da una serie di elementi realmente avvenuti o si tratti di pura invenzione si sarà entrati nel terreno dell’immaginario, dal momento che qualunque narrazione per essere raccontata deve subire il trattamento del cervello dell’io narrante che, per quanto fedele alla realtà, non potrà evitare di modificare in modo anche in maniera quasi inavvertibile la realtà accaduta.

In sostanza ciò che viene narrato non è “la realtà” ma parte di una meccanismo di comunicazione che costituisce la base dei rapporti quotidiani tra umani. Ciò che chiamiamo “immaginario” costituisce la base stessa del narrare ed è alla base delle principali forme di narrazione, senza alcuna distinzione di genere.

La verosimiglianza di un racconto dipende dalla quantità di immaginario che vi inseriamo. D’altro canto, coloro che ascoltano o che leggono possono – o forse devono – fare comunque appello alla “sospensione di incredulità” sia che la narrazione ruoti intorno alla caccia a una balena, o che racconti la preparazione di un pasto o l’apparizione di un UFO.

Ciò che l’autore racconta può essere rigorosamente reale o completamente fantastico, contenere una quota di “immaginario” che varia da 100 a 1. La cosa curiosa è che l’apparizione di un UFO può essere una vicenda realmente accaduta, mentre la caccia a una balena o la preparazione di un pranzo possono subire interventi e interpolazioni inattese e sorprendenti, risultando in definitiva eventi fantastici.

In definitiva, non è tanto l’argomento quanto il “modo” di narrare a divenire il centro della storia: la scelta di modi realistici o fantastici determina per lo più l’appartenenza della vicenda a un “genere” letterario.

Ma su questo apparentamento di un brano di narrativa a un genere o all’altro le possibili variazioni sono pressoché infinite, senza contare gli infiniti esempi di racconti e romanzi che vivono sul limite tra il fantastico e il reale. A titolo di esempio citerò un romanzo di Jules Verne, Il castello dei Carpazi, narrazione inserita su uno schema fantastico fino a quando nel finale l’autore riesce a spiegare con la fisica di tutti i giorni gli eventi “strani” o “fantastici” via via inseriti nel testo, mentre Contro-passato prossimo di Guido Morselli è un buon esempio di romanzo di salda base realistica basato su un’ipotesi assolutamente fantastica, ovvero un diverso percorso storico. Questa fondamentale ambiguità è presente in tutto lo spettro della narrativa tanto da rendere sostanzialmente inutile la “sistematica” della narrazione. Scegliendo la “narrativa dell’immaginario” si compie un’operazione che punta sul livello più alto della del fantastico.


Silvia Treves

Per rendere l’idea di quanto sia vasto (e liquido) il genere fantastico affiancherei al termine una denominazione alternativa (presa a prestito da una bella serie di incontri organizzati da La Dimora, un’associazione qui rappresentata da Mario Pesce: Letteratura dell’Immaginario, che così consente esplorazioni almeno tangenziali di spazi letterari contigui.

Il fantastico è un genere molto antico che affonda le radici nel mito e nella fiaba; è difficile definirlo perché ci accompagna fin da quando gli umani hanno imparato ad andare oltre le necessità impellenti della sopravvivenza e perché cambia mano a mano, insieme al reale da cui è germogliato e di cui è lo specchio.

Molti studiosi hanno provato a definire questo genere; spesso le definizioni si somigliano, una delle più famose è quella di Tzvetan Todorov (1970), e tutte implicano l’esistenza di avvenimenti di due ordini diversi: nel nostro mondo, il mondo Primario, si verifica un avvenimento che non si può spiegare con le leggi consuete che lo governano (esempio tipico: il fantasma). Chi, nella narrazione, percepisce l’avvenimento – ma anche chi legge – è sospeso fra due soluzioni possibili: o l’avvenimento inspiegabile è frutto di un’illusione dei sensi, dell’immaginazione – e in tal caso le leggi del mondo rimangono integre, oppure la presenza è parte integrante del reale. Ma, allora, questa realtà è governata (anche) da leggi a noi ignote.

QUALCUNO, personaggio, narratore e soprattutto lettore, deve scegliere tra le due possibilità, oppure attuare quella che viene chiamata la sospensione di indredulità, un patto fra autore e lettore. Ecco perchè amo il genere fantastico: perché rispetta il mio libero arbitrio, anche di NON scegliere.

Occorre dire che, se l’autore chiede molto al lettore, anche il lettore dovrebbe chiedere all’autore coerenza e verosimiglianza.

Ma quale parentela c’è tra il fantastico e tutti gli altri sottogeneri che gli girano intorno: fantasy, fantascienza, horror, ghost story, sovrannaturale, l’occulto, il fiabesco, lo steampunk ecc.?

Parliamo un attimo della fantascienza: secondo Theodore Sturgeon – grande autore di una fantascienza che vira al fantastico – una storia fantascientifica parla di uomini ma non potrebbe svilupparsi senza un elemento scientifico o tecnologico (quello che altrove viene chiamato il novum) La sf è, in realtà la letteratura del possibile prendiamo come esempio la space opera: scopro altri pianeti grazie alla velocità ultraluce: ora non siamo capaci di svilupparla ma nel futuro magari sì. Il fantastico, invece, è per definizione impossibile. Occorre dire che questa definizione poggia sul valore predittivo della sf, mentre la sf può narrare storie che mettono in luce le contraddizioni dell’attuale società, è imparentata, quindi anche con l’utopia e la distopia.

La fantascienza, inoltre, ha in comune con il fantasy la caratteristica di creare di Mondi Secondari, e/o altre società.

Un altro punto di contatto tra il fantasy e la fantascienza è la frequentazione del fantasy da parte di autori e autrici di SF. Esempi di tutto rispetto sono Ursula K. Le Guin, con la sua Saga di Terramare, e China Mieville, autore anche di urban fantasy come La città e la città, Un regno in ombra e molti altri romanzi. Un altro autore che ha frequentato sia la sf sia il fantastico con ottimi esiti è Jack Vance. Per non parlare di Alice Sheldon/James Tiptree jr, di cui ho appena riletto una racconto (Un momentaneo gusto di esistere) che impone la sospensione di incredulità e pone al lettore la classica domanda: devo crederci? E la storia è raccontata in prima persona, quella che il lettore di fantastico considera la più inaffidabile

Queste forme di ibridazione sono una delle ricchezze del fantastico. Essendo definita dalla propria impossibilità, questa narrativa, ma anche la fantascienza sono il luogo privilegiato per smontare, ricostruire e reimmaginare bisogni e desideri ignorati o soppressi degli umani, mettendo in scena utopie e distopie e renderle materia di discussione.
In conclusione, direi che la narrativa fantastica, o dell’Immaginario – intesa nel suo significato più ampio – riesce contemporaneamente a farci riflettere su ciò che è fuori di noi, grazie al valore sociale degli interrogativi che ci pone e a scavare in profondità nel nostro io. Ed è proprio questa sua binarietà che ce lo rendo prezioso.

Qui di seguito una breve intervista-video a Sivia Treves, sull’argomento


Massimo Citi e l’idea di Alia, l’antologia periodica di letteratura dell’immaginario,
volutamente NON a tema.


ALIA è nata nel 2003, da un gruppo di appassionati di sf e fantastico: traduttori e autori, Massimo Soumarè (per l’area nipponica), Davide Mana (area in lingua inglese) e il compianto Vittorio Catani (area italiana) oltre a Silvia Treves e il sottoscritto, redattori, correttori ed editori. L’idea è nata chiacchierando dentro lo spazio di una libreria, in seguito purtroppo chiusa, della quale io era il direttore, nonché uno degli appassionati sognatori.


L’idea fu relativamente semplice ma non ancora sperimentata sul mercato italiano: creare un’antologia di racconti, strettamente di fantastico senza operare distinzione nei vari sottogeneri – sf, horror, fantasy, weird ecc. – dove poter confrontare la tradizione italiana, giapponese e angloamericana, in modo che potessero emergere da un lato la ricchezza della tradizione locale, dall’altro quella del fantastico nipponico e infine provando a sondare in maniera imprevista e sorprendente il mare magnum della narrativa fantastica e fantascientifica in lingua inglese. Il primo ALIA uscì nel 2004, un volumone di quattrocento e passa pagine dove apparivano, tra gli altri, Milena Debenedetti, Massimo Lojacono e lo stesso Vittorio Catani nelle pagine dedicate agli autori italiani, Miyazawa Kenji, Dasai Osamu e Unno Juza tra i nipponici e Theodor Roosvelt, Charles Grant Allen e Robert W. Allen tra gli autori di lingua inglese.
La distribuzione fu ridotta ma sufficiente a sancire il piccolo successo dell’antologia che in pochi mesi esaurì la tiratura.


Inevitabile, a quale punto, provvedere a un secondo numero dell’antologia che, è importante ricordarlo, non è mai stata un periodico ma usciva quando terminava il lavoro di scelta dei brani e quello di traduzione e correzione, ovvero quando riuscivamo a finirla…
Il secondo ALIA, uscito nel 2005, sfiorava la 400 pagine presentava, tra gli altri, Giuseppe Pederiali, Alberto Cola e Vittorio Curtoni tra gli autori italiani, Asagure Mitsufumi e Tsuhara Matsumi tra i giapponesi e, tra gli autori in lingua inglese, Robert Howard, e Rafael Sabatini.
E venne il turno della terza ALIA, uscita nel 2006, con testi, tra gli altri, di Renato Pestriniero, Danilo Arona, Diego Gabutti e Riccardo Valla, tra i giapponesi Asamatsu Ken, Kumi Saori e Bando Masako e C.L.Moore, Clark Ashton Smith e Robert Howard tra gli autori in lingua inglese.

Il successo ci spinse a tentare una nuova via: la separazione delle diverse culture, ovvero la creazione di tre antologie per un totale di pagine se superava le 600 pagine. Uscirono così nel 2007 tre testi, ALIA Giappone, ALIA Italia e ALIA Anglosfera. Da segnalare la sezione tradotta dalla lingua inglese che pubblicò tra gli altri racconti di David Brin, Cory Doctorow, Michael Moorcock, Charles Stross e Walter Jon Williams. Interessante notare che gli autori indicati cedettero a titolo gratuito i loro testi alla nostra antologia – la cui proprietà letteraria rimaneva in ogni caso a loro, così come era per gli autori presenti – per sostenerne il proposito di diffusione della cultura fantastica in Italia. Da notare che per la prima volta adottammo un nuovo stile interno allegando un disegno ad ogni racconto in modo da creare un gruppo di disegnatori che collaborarono con ALIA.

Di nuovo tre volumi nel 2008, con, nella sezione in lingua inglese, Ted Chiang, Karl Schroeder e Michael Moorcock e Danilo Arona, Angelo Maranzana ed Elvezio Sciallis in ALIA Autori Italiani.

Ma anche i momenti migliori hanno un termine.
Il termine e l’ultimo atto di ALIA vennero negli anni 2011 – 2012 in seguito alla chiusura della libreria. L’ultimo ALIA, ALIA storie, uscì nel 2011 con il contributo di altri due traduttori, Federico Madaro per il cinese e Roberto Novello per lo spagnolo. Nell’antologia – ritornata in volume unico – oltre ai consueti italiani, giapponesi e anglofoni, comparvero anche autori di Singapore, cinesi e spagnoli oltre a una dozzina di ottimi disegnatori.
Un’ALIA storica, ma disgraziatamente l’ultima.

ALIA Evo, l’erede di ALIA dovette attendere fino al 2015 per uscire e fu pubblicato per la prima volta esclusivamente in forma di e-book. Senza abbandonare definitivamente gli autori stranieri – erano presenti un racconto tradotto dal francese, uno dall’inglese e due dal giapponese – ALIA Evo iniziò un lavoro particolare sugli autori italiani, che continuò anche nei volumi successivi, cercando di costruire un’antologia che riunisse alcuni degli autori più interessanti e originali. Ovviamente a nostra insindacabile parere e mettendo in seconda linea la “necessità”, da più parti invocata, di un tema al quale chiedere di ispirare i racconti. A noi interessava di più – e continua a essere così – sondare i temi che incuriosiscono e stimolano di più gli autori nostrani, creando un piccolo universo fantastico che lasci emergere la sensibilità e l’attenzione di chi scrive adesso.

Ma ALIA Evo è a numero chiuso? O funziona solo per proposta diretta?
Né una né l’altra.
Certamente la scelta dei racconti e degli autori è in buona parte delegata ai due curatori, Silvia Treves e io e buona parte degli autori presenti sono ormai “veterani” con la loro partecipazione alle diverse edizioni, ma esiste un bando pubblicato qualche mese prima dell’uscita e a partire dal numero 2 di ALIA Evo cominciarono ad arrivare contributi personali, in qualche caso accettati e pubblicati.
La scelta non avviene, come per altri concorsi, sulla base della “qualità” del testo inviato – anche se ovviamente anche questa ha il suo peso – ma sulla base di un criterio di “originalità” che reputiamo essenziale.
Ovviamente, comunque, l’invio di un proprio testo è gratuito come tutto ciò che avviene nell’ambito di ALIA Evo come è gratuita la risposta, anche se negativa.

In definitiva riteniamo l’esperienza di ALIA Evo decisamente positiva soprattutto sul piano della resa narrativa. Se sul piano commerciale ALIA Evo è davvero una piccola cosa, su un piano più generale è un’esperienza che ha una risonanza che noi stessi consideriamo sorprendente. Grazie a tutti, davvero.

Qui di seguito una breve intervista video a massimo Citi

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