Dina Lentini
un breve saggio su Ruth Rendell
Risonanze e variazioni sui temi del romanzo poliziesco. Gli appassionati di narrativa poliziesca danno ormai per scontata la tendenza di molti autori contemporanei all’utilizzo della trama di tipo investigativo come occasione per parlare d’altro, per avviare una ricerca di carattere sociale, psicologico, umano. Ruth Rendell ha intrapreso questo percorso precocemente, già a partire dagli anni sessanta, quando solo i coniugi Sjöwall e Wahlöö nella metà del secolo scorso aprivano la strada che avrebbe rivoluzionato la scena internazionale del crime-novel.
Gli appassionati di narrativa poliziesca danno ormai per scontata la tendenza di molti autori contemporanei all’utilizzo della trama di tipo investigativo come occasione per parlare d’altro, per avviare una ricerca di carattere sociale, psicologico, umano. Ruth Rendell ha intrapreso questo percorso precocemente, già a partire dagli anni sessanta, quando solo i coniugi Sjöwall e Wahlöö nella metà del secolo scorso aprivano la strada che avrebbe rivoluzionato la scena internazionale del crime-novel.
Se per i maestri svedesi la scrittura costituiva una forma di impegno politico dichiarato, la Rendell sceglieva una forma meno diretta, e forse più sofisticata, di denuncia sociale. In ogni caso, le nuove tematiche del romanzo poliziesco contemporaneo risultavano presenti sin dal primo romanzo del 1964 dedicato alla fortunata serie dell’ispettore Wexford, “From Doon vith Death”, “Lettere mortali” ( Il Giallo mondadori, 1964). L’autrice presentava quel tipo nuovo di detectiv che, come lo svedese Beck, ha ormai perso del tutto le carratteristiche dell’indagatore classico cui bastavano le doti di deduzione logica: il poliziotto è parte integrante della realtà umana e sociale che lo circonda e delle sue debolezze ed è proprio dalla condivisione della stessa esperienza che deriva la sensibilità giusta capace di contribuire a risolvere un caso. In questo primo romanzo l’attenzione si sposta subito dalla necessità di individuare il colpevole di un omicidio al mistero della vita di una donna qualunque, non bella, non più giovanissima, che per anni ha condotto un’esistenza modesta e incolore accanto al marito. Wexford supera la rete di reticenze e ambiguità che nascondono altri coinvolgimenti e segreti personali. La scoperta della verità svela un mondo nascosto di passione malsana, di solitudine, di bisogno di perbenismo e di elevazione sociale, ma anche di amore autentico. L’ispettore ne comprende il senso, provando pietà per il colpevole. L’autrice inglese avvia così la sua ricerca sui comportamenti individuali e sulle censure personali e sociali, gettando le basi di quell’atteggiamento progressista di tolleranza e comprensione che manterrà in seguito. Unito ad un forte impegno contro ogni forma di pregiudizio e di violenza, questo approccio generale, nella narrativa come nella vita, ha contraddistinto in modo coerente tutta la sua opera e la scelta di sedere, in difesa degli interessi della propria Nazione, tra i banchi del gruppo laburista alla Camera dei Lord.
Per Rendell, come per Sjöwall e Wahlöö, il delitto accelera, svelandole, le crisi personali e collettive latenti nella vita quotidiana. La morale comune si sgretola senza che emergano altri riferimenti cui aggrapparsi, la coesione sociale vacilla e si incrina in modo irreparabile. Le persone e i loro segreti sono chiusi in una solitudine e in un anonimato che solo il caso, a volte, può scalfire. Le barriere tra le classi sociali e tra le varie comunità di immigrati, sono, all’interno delle moderne democrazie, ancora invalicabili. La lotta contro la criminalità, nonostante gli sforzi profusi, risulta monca perché impossibilitata a rimuovere le cause profonde del malessere e può solo dare pallidi risarcimenti. Succede che la riparazione, quando c’è, sia affidata ad un gesto personale di condivisione, di coraggio, di sfida.
In un altro romanzo del ’64, “To fear a Painted Devil” , “Vespe e veleni” (Il Giallo Mondadori, 1999) la vicenda che porta al delitto é ambientata in un’area residenziale che somiglia molto alla comunità di villaggio magistralmente descritta da Agatha Christie. E’ la realtà del microcosmo nel quale la vita dei singoli e delle famiglie scorre sotto gli occhi di tutti, dei vicini che ne conoscono gli orari e i ritmi lavorativi, che spiano e giudicano ogni mossa e ogni comportamento che sfugga alla routine. Questa focalizzazione dell’attenzione sul piccolo centro si presta bene a sviluppare gli interessi della Rendell per l’introspezione psicologica e per l’evoluzione di esistenze che scorrono entro uno stesso spazio, fisico e mentale.
La tendenza a restrigere il campo di osservazione si trova in tutti gli altri romanzi, dal mondo chiuso del villaggio a quello di una casa di cura, di un negozio, di una strada. Poichè all’autrice interessa cogliere la storia di una certa problematica e l’incidenza di questa nelle varie tappe dell’esistenza, lo spazio materiale e sociale che accoglie gli eventi è solo apparentemente concluso. Si evolve anch’esso nel tempo come una realtà dinamica che ha le sue relazioni con l’esterno e con un esterno, anzi, di cui si intuisce sempre la vastità e la complessità. In questo senso il microcosmo di Rendell risulta molto diverso da quello di Agatha Christie. Quest’ultima strutturava le sue storie immergendole in una realtà quasi immobile, dominata dall’angoscia dell’estraneo e nella quale la presenza del male finiva per assumere una pregnanza metafisica di ineluttabilità. In questa dimensione quasi bloccata il percorso evolutivo, tanto caro alla Rendell, risultava possibile ma molto difficile.
In “Vespe e veleni” un giovane benestante che conduce una vita familiare metodica e ben organizzata muore misteriosamente dopo aver superato la reazione allergica conseguente all’attacco di un nugolo di vespe che avevano infestato la sua casa. Rendell evidenzia qui la sua predilezione per le trame complesse, che nascono dall’individuazione di una pluralità di elementi sospetti, ognuno dei quali conduce ad una pista che, dietro equivoci e menzogne, nasconde certamente interessi illeciti che vale la pena di seguire, ma che non sarà risolutiva rispetto all’indagine. L’intreccio di storie che si dipartono da quella centrale è sicuramente un elemento narrativo efficace, capace di creare un’atmosfera carica di tensione e di pathos. Ma la sovrapposizione delle soluzioni possibili non è solo un espediente stilistico, nasce soprattutto dalla concezione della “normalità” del male, dalla possibilità che l’assassino, con il suo volto spesso assolutamente ordinario, possa essere chiunque. Un movente può essere anche molto elementare, l’opportunità e il mezzo per uccidere non necessitano di condizioni straordinarie, ognuno di noi, in certe circostanze, potrebbe avere la tentazione di passare il limite. Si aggiunge a ciò la considerazione che anche l’individuo più solitario ha comunque una sua storia, non necessariamente drammatica ma che in qualche modo, magari inconsapevolmente, ha prodotto ferite che restano aperte nel proprio mondo interiore o in quello altrui. Il passato non si scioglie e irrompe a volte casualmente anche in un’esistenza dalla vita sociale ridotta ai minimi termini.
A differenza di altri scrittori di crime-novel, la Rendell utilizza in modo sobrio i contenuti tradizionali della procedura investigativa, poliziesca e giudiziaria. Questo vale in generale, anche per la serie dedicata all’ispettore Wexford. Le informazioni sull’attività del poliziotto e sui protocolli che lui e la sua squadra devono rispettare sono ridotti all’essenziale. In alcuni casi la storia narrata, pur essendo fortemente carica di suspense, non ha affatto lo scopo di portare alla scoperta del colpevole. In “The Rottweiler” del 2003, “La bottega dei delitti” Fanucci, l’assassino è presentato al lettore già nella prima metà del romanzo. In “The Brimstone Wedding” 1996, “La villa dei ricordi cattivi”, Mondadori, il delitto scompare in un passato lontano e non è oggetto di indagine poliziesca. L’autrice si concentra su altre questioni, sull’incontro fra due persone completamente diverse per età, cultura, estrazione sociale, che di fronte alla malattia e alla morte trovano una forma di comunicazione che consente loro di raccontarsi e valutare il proprio destino.
Ne “La bottega dei delitti” lo spazio ristretto di un negozio è lo scenario sul quale si muovono vari personaggi ambigui che gestiscono in modo cinico o drammatico una complicata doppia vita. Ma è anche il luogo dove Ines e Becky coltivano, con esiti diversi, le loro illusioni di donne sole, dove l’ingenuità di Will, un giovane labile di mente, rivela un’ incredibile forza di autoaffermazione.
Spesso Rendell presenta ritratti di giovani o adulti afflitti da problemi di ritardo mentale o dagli esiti di un trauma che ne rende comunque difficile l’inserimento a pieno titolo in famiglia o nel mondo del lavoro. In generale l’autrice esprime una grande attenzione all’esistenza marginale o dipendente dei soggetti deboli, malati, anziani, esclusi a vario titolo dalla possibilità di scelta di una vita normale. In “Portobello”, 2010, “Portobello”, Fanucci, lo schizofrenico Joel, rifiutato dal padre per una colpa commessa da adolescente, trova proprio grazie alla follia un assurdo ma funzionante equilibrio che gli permetterà di essere riaccolto in famiglia.
A volte il problema non è di tipo intellettivo o psicologico e la fragilità è semplicemente nella condizione infantile o femminile, di per sé esposta all’abuso e alla violenza. L’autrice mostra una profonda partecipazione a questa tematica, affrontata con una fine capacità di analisi della storia e soprattutto del vissuto psicologico della vittima e del colpevole.
In particolare la violenza sulla donna è descritta nell’ampia gamma di situazioni gravi o gravissime ancora oggi presenti nelle società aperte delle democrazie avanzate e dei diritti civili, dall’odio contro le donne, allo stupro e all’omicidio, all’educazione repressiva delle bambine, ai maltrattamenti domestici. In “Not in the Flesh”, 2007, “Il bosco maledetto”, Fanucci, alla trama principale dell’indagine su un vecchio delitto si affianca un altro intervento nel campo delle mutilazioni genitali eseguite da comunità di immigrati sulle loro bambine. Il problema è dietro l’angolo di casa, tra famiglie benestanti e del tutto assimilate che non riescono a conciliare la morale del proprio gruppo di appartenenza e la legge della società in cui vivono. Lo stesso ispettore Wexford e i suoi familiari sono coinvolti, sulla base di un sospetto, nel tentativo di strappare una bambina alla crudeltà dell’infibulazione e alla fine la soluzione sarà trovata, ma nello scontento che nasce dall’obbligo di dover scegliere il male minore e dalla constatazione del fallimento dell’incontro fra due culture.
In “End in Tears”, 2005, “Una fine in lacrime”, Fanucci, viene analizzato un altro tipo di pratica altrettanto lesiva della dignità della donna della violenza perpretrata in nome di pregiudizi sociali e religiosi arcaici. Due adolescenti ciniche e disincantate entrano nel traffico della maternità sostitutiva e cercano di truffare ingenui candidati genitori. L’omicidio di entrambe le ragazze impegnerà Wexford nella ricostruzione delle motivazioni e nell’individuazione del colpevole. Ma l’ispettore deve affrontare anche gravi preoccupazioni familiari perché nello stesso periodo, in nome di una morale più libera e di un’idea alternativa di famiglia, la sua stessa figlia ha accettato disinteressatamente il ruolo di madre sostituta. La ragazza, già madre di due figli, intende partorire un bambino da donare alla fidanzata sterile del suo ex compagno, ma ha sottovalutato le conseguenze emotive e umane della sua scelta.
Alla denuncia del pregiudizio sociale, religioso o ideologico, si affianca, in altri romanzi, la denuncia della violenza ancora più sottile esercitata nella costruzione di un modello codificato di femminilità. L’egoismo dei genitori, l’educazione o la pressione sociale spesso ancora oggi non danno scelta alla ragazza. In “Thirteen Steps Down”, 2004, “I tredici scalini”, Fanucci, un giovane alle prese con le sue problematiche personali e le sue fissazioni subisce fino alle estreme conseguenze il fascino della personalità di un criminale seriale di cui ha studiato la storia. Ma il vero tema del romanzo è il destino solitario di Gwendolen, la donna che vive nella decadente casa paterna immersa nella lettura e nel suo immaginario. Costretta da un padre coltissimo ma dispotico ad annullare la sua vita di donna, diventa anziana e trascorre la sua esistenza nutrendosi fino alla fine di una fantasia d’amore che non ha alcun rapporto con la realtà. Maestra nell’indagine dell’immaginario e delle illusioni femminili, Rendell raggiunge, nel ritratto di Gwendolen, uno dei suoi livelli più alti. Ma altri personaggi, femminili e maschili, vengono indagati con altrettanta finezza nei loro movimenti mentali più segreti. Ines (La bottega dei delitti) sperimenta quotidianamente lo scarto fra il suo desiderio di comunicazione e l’impenetrabilità di coloro che la circondano, ma approderà ad una maturità che le consentirà di lasciar andare il passato e costruire un futuro sereno.
In “The water’s Lovely”, 2006, “La verità nascosta”, Fanucci), ciò che davvero conta non è la serie di aggressioni e omicidi ai danni di donne sorprese in zone isolate. E nemmeno l’oscuro delitto del passato che sin dall’inizio si sospetta essere avvenuto all’interno della famiglia. Molto più interessante risulta la ricostruzione delle relazioni complesse all’interno del nucleo familiare e all’esterno, nei rapporti di vicinato. Rendell studia l’evoluzione, o involuzione, psicologica dei personaggi alla ricerca della genesi di un comportamento autonomo o adattivo. Marion, la donna che vive di truffe ai danni di persone anziane e danarose, sprofonda ad un livello così basso di cinismo al punto da sfiorare l’omicidio. Purtuttavia avrà una chance: il gioco portato avanti si rivolterà nella sua mente in una fantasia positiva alla quale lei stessa comincerà a credere, diventando una donna diversa. Viceversa Ismay, una delle due sorelle protagoniste del romanzo, resta fissata ad un modello di assoluta passività nei confronti di un uomo maschilista ed egoista incapace di amare. Anche nel caso di Ismay l’autrice porta avanti un’esplorazione articolata e ricca di sfumature di tutte le tappe che portano la ragazza a rifiutare l’esperienza e a chiudersi nel proprio mondo fantastico e infantile. Ismay ricostruisce correttamente i fatti intorno ad una morte avvenuta in casa più di dieci anni prima, i suoi sospetti sono legittimi, ma la motivazione cui pensa è completamente sbagliata e nasce dall’immagine che ha di sé, una persona fragile che va protetta. Con lo stesso atteggiamento si disporrà ad accettare ogni umiliazione presente e futura da parte del suo violento fidanzato, perché solo lui è in grado, comunque e a qualunque prezzo, di farla esistere.
Forza irrazionale e distruttiva che sconvolge la mente, l’amore diventa, nelle sue varie forme, anche possibilità di scelta, capacità di rinuncia, elemento di salvezza.
L’amore totale di Will per la zia (La bottega dei delitti) metterà in qualche modo al riparo la donna da relazioni sentimentali non limpide che potrebbero ferirla senza darle l’autonomia che desidera.
Il reverendo Archery conosce la passione mentre conduce un’indagine su un vecchio caso di omicidio la cui soluzione potrebbe aiutare il figlio in procinto di sposarsi (“A New Lease of Death, 1978, “La morte in versi”, Fanucci). In questo romanzo l’amore è forza positiva che illumina e cambia la vita di un uomo di mezza età dedito ai suoi doveri familiari e pastorali. Ma è anche scelta razionale di valori e rinuncia. Accanto al tema dell’amore, “La morte in versi” sviluppa il motivo tipicamente rendelliano dell’indagine retrospettiva su eventi del passato che non possono essere cambiati, ma che possono essere guardati da altri punti di vista che forniscono una soluzione diversa da quella che si sperava eppure altrettanto buona..
La ricostruzione del passato e la comparazione con la realtà presente è condotta in modo esemplare in uno dei romanzi più belli della Rendell, “Portobello”. Qui il crimine è solo uno dei tanti eventi, non il più importante, che accompagnano la vita della strada, Portobello Road, sostanzialmente la stessa nonostante le continue ridefinizioni operate dal tempo, dalle leggi di mercato, dai movimenti umani. Un giovane cerca di sbarcare come può il lunario vivendo di espedienti e di piccoli furti, ma rischia di essere incriminato per un reato che non ha commesso. Uno schizofrenico si attacca visceralmente alla donna che lui stesso si è scelto come terapeuta per le doti di empatia e gentilezza che lei ha dimostrato, ma sarà poi proprio la sua follia a risolvere in parte i suoi problemi. Un vecchio ex ladro ha saputo in modo scaltro attendere la valorizzazione del suo immobile fatiscente e ha saputo organizzarsi una nuova esistenza rispettabile. Nonostante la sua cultura ed esperienza il cinquantenne Eugene non riesce a liberarsi della vergogna per un’assurda forma di dipendenza e arriva al punto di compromettere il matrimonio con la donna che ama…Tutte queste esistenze sono collegate tra loro dal vero protagonista del romanzo, Portobello Road, la strada che sembra un millepiedi, simbolo della trasformazione e della continuità della vita.
Non sempre il mondo del sottoproletariato è descritto con l’ironia che anima le pagine di Portobello, dove piccoli criminali, truffatori o lavoratori precari che vivono al limite della legalità sono presentati anche nelle loro qualità umane o colti in situazioni grottesche. In “Harm Done”, 1999, le comunità periferiche di un sottoproletariato indurito e spregiudicato si muovono in un crescendo di violenza che diventa sempre più pericolosa mettendo in seria difficoltà l’ispettore Wexford, i suoi collaboratori, la sua stessa famiglia. Centrato sul problema della pedofilia e, in generale su quello della violenza sui bambini, il romanzo descrive come la frustrazione e la rabbia per la giustizia negata, ma anche l’ignoranza e l’abitudine a massacrare per non essere massacrati possano scatenare reazioni collettive incontrollabili. Wexford perderà uno dei suoi uomini, una morte stupida e ingiusta. La figlia dell’ispettore, che si adopera come assistente sociale, rischia insieme alle altre volontarie, di non essere compresa e di essere attaccata. Poi un ridimensionamento si trova, la verità si impone, la folla rivela il suo volto di vittima e carnefice.
In questa esemplificazione (relativamente modesta in rapporto alla produzione dell’autrice) si è cercato di dimostrare come Ruth Rendell abbia saputo utilizzare in modo versatile lo stesso meccanismo esplorativo adattandolo ad una pluralità di temi, dallo studio del vissuto individuale a tematiche di bruciante attualità. Si è voluto anche fornire un certo numero di spunti che possano risultare suggestivi e incoraggiare alla lettura.
La scrittrice inglese è considerata un mito all’estero, proprio per l’alto livello delle sue doti narrative e la forte carica di impegno sociale. I premi ricevuti a livello internazionale, la partecipazione ad eventi letterari fino a tarda età, la produzione cinematografica ricavata dalle sue opere ne hanno fatto un’icona del romanzo poliziesco contemporaneo.
Nell’area italiana, al contrario, l’interesse è venuto scemando e, negli ultimi vent’anni, i suoi libri sono scomparsi dal mercato, quasi introvabili. Forse la Rendell è rimasta schiacciata tra lo schema classico di giallo all’inglese sul modello di Agatha Christie e i più moderni polizieschi contemporanei di carattere più commerciale. Forse il pubblico italiano non ha colto la profondità e lo spessore di questa autrice, così amata in Inghilterra, Francia, Spagna. La stessa specificità dell’opera, difficilmente catalogabile dentro gli schemi della letteratura di genere, può avere avuto il suo peso. Quelli di Ruth Rendell sono “gialli” molto particolari. Forse lo stesso mercato editoriale ha preferito altre scelte.
Comunque sia, la recente uscita per i tipi de Il Giallo Mondadori del romanzo di Ruth Rendell “Harm Done” del 1999, pubblicato con il titolo “La crociata dei bambini”, è uno dei pochi omaggi tributati in Italia alla scrittrice inglese scomparsa nel maggio di quest’anno e suona quasi come una sorta di riparazione.
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