Dina Lentini
‘Gli idoli del foro sono i più molesti di tutti perché…’ – Francis Bacon: attualità di un intellettuale
…”Questo breve intervento su Francis Bacon va considerato più che altro come una riflessione e un’interpretazione sulla figura dell’autore in rapporto alla modernità e alla contemporaneità, e non pretende dignità di uno studio vero e proprio. Nasce dalla mia passione per un intellettuale che seppe interpretare al meglio il proprio tempo: individuando nel problema del metodo scientifico il nodo rivoluzionario di trasformazione epocale della società europea;”…
Questo breve intervento su Francis Bacon va considerato più che altro come una riflessione e un’interpretazione sulla figura dell’autore in rapporto alla modernità e alla contemporaneità, e non pretende dignità di uno studio vero e proprio. Nasce dalla mia passione per un intellettuale che seppe interpretare al meglio il proprio tempo: individuando nel problema del metodo scientifico il nodo rivoluzionario di trasformazione epocale della società europea; ma arrivando anche a delineare il nuovo tipo di ricercatore, un’ape, che, nella celebre metafora, ha elaborato un rapporto fecondo e produttivo tra interiorità e realtà fisica, libero dai pregiudizi e proiettato verso un continuo miglioramento di sé e della comunità. Queste note nascono anche sull’onda della suggestione di un articolo di Cesare Pastorino, weighing experience: experimental histories and francis bacon’s quantitative program apparso recentemente in Early Science and Medecine 16 (2011) 542-570, e ripreso nelle pagine de “La natura delle cose”, che conferma l’attualità di un pensatore al quale già la storiografia filosofica del secolo scorso aveva dedicato una serie di studi a livello europeo di straordinaria ricchezza e che ancora oggi affascina stimolando nuove ricerche.
“Gli idoli del foro sono i più molesti di tutti, perchè si sono insinuati nell’intelletto per l’accordo delle parole e dei nomi. Gli uomini credono che la loro ragione domini le parole; ma accade anche che le parole ritorcano e riflettano la loro forza sull’intelletto, e questo rende sofistiche e inattive la filosofia e le scienze. Le parole, infatti, di solito hanno un significato che è tratto dalle opinioni volgari e segnano i confini delle cose con linee corrispondenti all’intelletto volgare. Quando poi l’intelletto reso più acuto e l’osservazione fatta più diligente vogliono spostare quelle linee perchèé corrispondano meglio all’ordine naturale, le parole vi si oppongono. Di qui discende il fatto che le più grosse e gravi dispute dei dotti finiscono spesso in controversie sulle parole e sui nomi, con le quali idovrebbe invece incominciare ( come fanno i matematici con la loro prudenza), e metterle in ordine con le definizioni. Le quali definizioni, nelle cose naturali e fornite di materia, non possono rimediare a questo difetto, perché anche le definizioni sono fatte di parole, e dalle parole non vengono che parole”. Bacone, Novum Organum-
Esaltato o denigrato a seconda del momento storico, Bacone sembra essere stato destinato al ruolo di una coperta troppo stretta da tirare a vantaggio di visioni fortemente ideologizzate della storia e della scienza. E’ il caso, nei secoli scorsi, di illuministi o idealisti, che hanno mitizzato Bacone o lo hanno demonizzato senza comprenderlo del tutto e, in fondo, tradendolo. Ma è anche, in generale, il caso della storiografia novecentesca, tutta giocata sul riconoscimento del ruolo di araldo della modernità esercitato da Bacone, e da lui stesso costruito, ma non disposta a cedere sul motivo della colpa fondamentale del Lord Cancelliere: la sua figura di ideologo della scienza più che di ricercatore addetto ai lavori e, soprattutto,l’incomprensione per la funzione giocata dalla matematica nella rivoluzione scientifica.
Si deve a Paolo Rossi, recentemente scomparso, una ricerca approfondita che, a partire dagli studi degli anni cinquanta, ha restituito in modo equilibrato e convincente Bacone alla sua epoca e alle inevitabili contraddizioni del contesto storico e culturale nel quale si formò la sua riflessione sulla scienza.
Giustamente Rossi ha sempre respinto il punto di vista parziale di storici del pensiero scientifico come Geymonat o Cassirer che, mossi da altri interessi, non hanno contestualizzato a fondo il pensiero dell’autore, finendo per collocarlo in quel limbo che sono le cosiddette età di transizione: più avanti di alcuni, ma terribilmente ancora primitivo e legato al passato rispetto ad altri.
Così, è quasi diventato un luogo comune la stigmatizzazione del concetto baconiano di “forma”, come esemplare dei legami inconsapevoli con la scolastica che l’autore avrebbe mantenuto nonostante la sua vis polemica contro la tradizione.
Se certamente è vero che tale concetto è ancora carico di ambiguità e di strascichi medioevali, è anche certo il legame di Bacone con gli aspetti rivoluzionari e antiidealistici della fisica aristotelica: il razionalismo naturalistico, la ricerca delle cause dei fenomeni, il dinamismo della natura come modello biologico e l’idea di scienza come strumento di intervento sulla realtà. Diverso il discorso per gli aristotelici, che cadono, per il filosofo inglese, nel rimescolamento continuo delle sceneggiate filosofiche che si succedono nel tempo, tutte guastate dagli stessi vizi: accademismo, rigido spirito di sistema, allontanamento progressivo dalla realtà. C’è da dire, invece, che con tutti i suoi aspetti irrisolti, il concetto di“forma” è comunque indicativo, per Bacone, dell’insieme delle proprietà fisiche della materia, si riferisce proprio alla legge che spiega l’andamento di un fenomeno attraverso l’analisi dei movimenti infinitesimali della sua struttura e la comprensione delle differenze in rapporto ad altri fenomeni.
La scarsa comprensione del filosofo inglese per la matematica, ridotta a mero calcolo, rappresenta, oggi, con sguardo retrospettivo sulla storia della scienza, una facile condanna.
Questo atteggiamento di Bacone di fronte alla matematica nasce, in realtà, da diversi motivi.
Il primo motivo, di ordine storico, affonda le sue radici nell’ambiente culturale inglese, nel quale il rinascimento italiano ed europeo era largamente penetrato insieme ad una concezione della matematica di tipo platonico e neoplatonico, nonché insieme al vitalismo e allo spritualismo del movimento magico-alchemico. Affascinato dal naturalismo italiano per la sua sperimentazione e aderenza ai fatti, Bacone prese comunque le distanze dalle scelte irrazionalistiche o dal sensismo superficiale di molti filosofi italiani e si schierò decisamente con quella parte della intellighentia elisabettiana polemica con la tradizione e desiderosa di un rinnovamento in senso tecnico e produttivo del sapere. In questo la lezione di Machiavelli e la possibilità di generalizzarne il metodo razionalistico fu certo più importante del fascino esercitato da Bruno in Inghilterra per il suo naturalismo e l’adesione al modello copernicano. La matematica dovette in qualche modo apparire a Bacone nei termini di un sapere da “pedanti”, legato ad una scelta di astrazione dalla fisica oppure nei termini della visione cusaniana, strumento teologico di avvicinamento all’infinito divino e alla sua perfezione ultraterrena, più che mezzo davvero laico, emancipato e ancorato all’indagine della realtà concreta.
Il secondo motivo, rintracciabile negli scritti baconiani, dal Novum Organum alla Redargutio e non solo, è ancora più interessante perché è di tipo epistemologico: perché mai, si chiede Bacone, “nelle cose naturali fornite di materia” le parole, le “definizioni” dovrebbero rendere conto dei fatti? Il nodo del rapporto fra fisica e matematica, che Galileo saprà risolvere, non era cosa da poco e Bacone non riesce a scioglierlo perchè l’obiettivo di un forte attivismo e utilitarismo in campo tecnologico e scientifico lo indirizza verso altri strumenti. Ma c’è la consapevolezza, l’individuazione del problema.
Certamente Bacone parla alla nostra sensibilità di moderni e ci entusiasma attraverso la sua visione profetica di un nuovo mondo e con la sua concezione di un sapere che o è scientifico o non è: un sapere che deve essere operativo, democratico, collettivo, animato da spirito di umiltà e sostenuto da opportuni strumenti e tecniche di ricerca. Soprattutto, quello che appare moderno, è il valore sociale della cultura e della scienza. Del resto, come diceva Paolo Rossi, basterebbe citare il disprezzo nei confronti di Bacone di intellettuali reazionari come De Maistre o di scienziati spiritualisti e retrivi come Liebig per cogliere il carattere aperto, innovatore e progressista della proposta baconiana. O, al contrario, si potrebbe citare l’apprezzamento che gli tributarono filosofi come Leibniz.
Paradossalmente, anche studi animati dalle migliori intenzioni nei confronti di Bacone, hanno contribuito a risospingerlo verso il passato, anziché sottolinearne gli slanci verso il futuro: la storiografia inglese novecentesca si è a volte concentrata sui rapporti di Bacone con la sfera religiosa o con il mondo magico-alchemico. Non che in Bacone non sia importante anche questo aspetto: il motivo religoso, specie l’influenza dell’attivismo calvinista, è certamente un fattore importante e la battaglia per la liberazione dell’intelletto dalle false immagini è, in fondo, parte di un percorso religioso che l’uomo intraprende per rimediare agli effetti del peccato originale che offuscarono la purezza dell’opera del creatore trasformando la mente umana in uno “specchio incantato”, deformante. Non c’è dubbio, inoltre, che per Bacone l’educazione scientifica è concepita anche come formazione etica ed è destinata a proiettarsi in quell’ideale di convivenza umana pacifica e tollerante, di rigenerazione morale, che il filosofo delineerà alla fine della sua vita nella Nuova Atlantide, l’opera rimasta incompiuta e pubblicata postuma.
Rispetto all’individualismo umanistico, Bacone trasforma lo slancio morale in una visione lungimirante e plausibile del futuro trasferendo l’eroismo dal campo ancora aristocratico del ricercatore isolato a quello, ben più fecondo e rivoluzionario, del gruppo socialmente impegnato nella scoperta e nel miglioramento del mondo: è l’immagine delle moderne società scientifiche che sorgeranno dopo la morte di Bacone e a lui si richiameranno.
Ma il contributo che forse ci avvicina maggiormente a Bacone è l’indagine sul linguaggio e sulle sue fallacie. Inserita all’interno di un tema più generale sulla necessità di emendare l’intelletto umano, di liberarlo dai fantasmi, l’indagine anticipa alcune tematiche della moderna sociologia della conoscenza e del linguaggio. Modernamente, Bacone abbandona i toni eroici che pure caratterizzano il suo ruolo di “venator” della natura e ci invita a riflettere sui limiti strutturali del conoscere insiti nella costituzione della mente umana e nella sua particolare prospettiva sull’universo. Il linguaggio, o meglio la mancanza di una adeguata conoscenza delle sue regole, della sua storia, della sua evoluzione e delle sue insidie, può aumentare quelle insufficienze che la nostra natura già presenta facendoci perdere l’orientamento, lasciando che non siano più gli uomini a parlare con le parole, ma, al contrario, provocando l’inversione per cui sono gli uomini ad essere parlati e agiti dalle parole stesse.
La mancanza di una educazione scientifica rischia di farci girare a vuoto, più ottusi, più sprovveduti, alla deriva in quella selva nella quale ci illudiamo di essere cacciatori.
L’immagine del labirinto, della foschia, delle trappole che ci assalgono è, del resto, coerente con la modernità di uomo che vive le contraddizioni del suo tempo, che è adeguatamente disincantato, ma non scettico e, anzi, tenacemente pronto a scommettere, a rilanciare, a dare una speranza. In ciò può essere avvicinato ad un altro grande venator dell’età moderna, il giurista Bodin che applicò nella conoscenza storico-politica e nell’indagine sul sistema della natura il metodo nuovo che permetteva di non smarrirsi nella selva delle tradizioni. Ma Bodin ha una fiducia assoluta nell’armonia della natura, che sviluppa come in un teatro l’opera divina: in Bacone la distanza fra il creatore e la natura è decisamente più forte, l’uomo non è simile a Dio, lontano nella sua perfezione, è più ripiegato sulla consapevolezza delle sue difficoltà e sugli abbagli che possono sviarlo; la natura non gode di una struttuta armonica, ma è una realtà indipendente le cui leggi ancora intravvediamo a malapena. Eppure quello baconiano è un uomo più forte, con la sua determinazione a vincere gli ostacoli, con i suoi sogni di una umanità, forse in un lontano futuro, più felice.
scarica il file dell’articolo