Gabriella Prandi
l’arte di Kokoschka e la relazione che essa mantiene con l’idea del rapporto uomo-donna…
Kokoschka
Nel 1908 Oskar Kokoschka espone, alla Wiener Kunstschau di Gustav Klimt, una serie di cartoni per arazzi dal titolo I portatori di sogni e in quella occasione, anche su suggerimento dell’architetto Adolf Loos che diviene da quel momento suo amico e protettore, decide di dedicarsi alla pittura ad olio, abbandonando la grafica con la quale aveva esordito qualche anno prima alla Wiener Werkstätte, la comunità di produzione degli artigiani viennesi che Kokoschka lascerà nel 1909, dopo la prima rappresentazione del suo dramma Assassino speranza delle donne.
Questo dramma, che viene considerato, a tutti gli effetti, il primo grande esempio di teatro espressionista, risulta fondamentale per comprendere gli sviluppi futuri dell’arte di Kokoschka e la relazione che essa mantiene con l’idea del rapporto uomo-donna.
L’azione si svolge di notte, in un castello. Un guerriero e la castellana si lanciano, a distanza, rabbiose minacce. Il guerriero fa marchiare a fuoco la donna; lei lo ferisce e lo fa prigioniero ma poi, attratta da lui, lo libera. Non appena il guerriero la tocca, la donna muore e cadendo rovescia una fiaccola che incendia il castello. Il guerriero uccide i guardiani e poi fugge alle prime luci dell’alba mentre, a distanza, risuona il canto del gallo.
L’azione è pervasa di simbolismi che sono proiezioni della parte inconscia dei due protagonisti. L’assassino è speranza e desiderio della donna. Il canto del gallo (riferimento al nome di Kokoschka che in ceco significa galletto) presagisce un’alba radiosa e solare, contrapposta al regno lunare e notturno della donna.
Kokoschka pensa dunque di risolvere l’eterno conflitto uomo-donna immaginando l’assassinio simbolico della donna da parte dell’uomo: la donna liberata, redenta, è la donna morta.
L’uscita del dramma è accompagnata da un manifesto, realizzato dallo stesso Kokoschka due anni prima, nel 1907, intitolato Pietà. Si tratta di un’orrida parodia della iconografia tradizionale della Pietà dove si vede una donna assassina che dilania una larva-uomo inzuppata di rosso. Scrive Kokoschka “l’uomo è rosso sangue, il colore della vita, ma egli è morto sulle ginocchia di una donna che è bianca, il colore della morte”
Nel 1912 Kokoschka conosce Alma Malher, moglie del compositore Gustav Malher scomparso da pochi mesi. Subito nasce tra loro una travolgente relazione. Alma ha trentadue anni, Oskar venticinque. L’artista concepisce per lei una passione tormentata. Alma incarna la donna-mantide, il personaggio aggressivamente erotico di Assassino speranza delle donne, una immagine di donna molto diffusa nella cultura austriaca di quegli anni che aveva già trovato espressione in alcuni capolavori giovanili di Klimt (Giuditta I).
La storia con Alma segnerà l’avverarsi dei tanti presagi già iscritti nel testo visionario di Assassino speranza delle donne a cui Kokoschka pensa di dare un seguito nel 1913 pubblicando un poema, illustrato con litografie, dal titolo Il colombo incatenato nel quale si celebra il trionfo del potere matriarcale e la minaccia contenuta nella promessa erotica femminile.
L’anno successivo l’eterno tema della conflittualità tra il principio maschile e quello femminile ispira all’artista una lirica Alos Màkar, titolo greco che significa “felicità è altro”, ma che è anche l’anagramma dei nomi Oskar e Alma.
La relazione tra i due continua tra litigi e accenti drammatici, provocati dalla furiosa gelosia di Kokoschka, geloso di tutti ma soprattutto del ricordo di Malher. Attrazione profonda e gelosia cieca si riversano nella pittura dell’artista, dando vita a dei capolavo
Kokoschka
ri che trascendono la dimensione privata da cui traggono ispirazione: Ritratto di Alma del 1912, Due Nudi del 1913 e, sempre dello stesso anno, Natura morta con putto e coniglio dipinto in evidente polemica con la decisione di Alma di interrompere una gravidanza in corso.
Nel maggio del 1914 tra i due avviene l’ennesima e improvvisa rottura che questa volta sarà definitiva. Kokoschka si rinchiude nel suo atelier e lavora alacremente per terminare il suo capolavoro, iniziato l’anno prima, La sposa del vento.
Il 22 giugno giunge a Vienna la notizia dell’assassinio, a Sarajevo, dell’arciduca Ferdinando e della sua consorte. Kokoschka, al lavoro, apprende la notizia dagli strilloni dei giornali che annunciano una edizione straordinaria e immediatamente decide di arruolarsi volontario in cavalleria. Per acquistare la giumenta venderà, ad un farmacista di Amburgo, il suo capolavoro appena terminato La sposa del vento.
Inizialmente Kokoschka aveva pensato di intitolare l’opera Tristano e Isotta. In una lettera a Alma, nell’aprile del 1913 aveva scritto “Il quadro procede molto lentamente … Noi guardiamo con assoluta calma le espressioni dei nostri volti, tenendoci, l’un l’altro, sul bordo di un semicerchio …”
Kokoschka
Ma durante l’esecuzione la grande tela si trasforma a poco a poco divenendo l’espressione di un amore impossibile. I due amanti, abbracciati, giacciono su una grande conchiglia che va alla deriva. Nel regno lunare che governa le maree, già individuato in Assassino speranza delle donne come il regno del dominio della donna, Alma dorme un sonno incurante: il naufragio, la tragedia in atto, non la sfiora. Kokoschka dipinge le sue forme morbide con colori chiari e pennellate distese.
Oskar invece ha gli occhi sbarrati, cerchiati da un’insonnia carica di ansia; le dita delle mani si intrecciano esprimendo una tensione impotente. L’artista si autoritrae nel suo tormento al quale neppure la notte concede oblio. Nessun rifugio è offerto alla sua ragione infelice. Le pennellate, brevi e spezzate, si incrociano per disegnare una anatomia devastata, dalle forme secche e spigolose e dai colori foschi. L’imbarcazione-conchiglia è travolta dalla tempesta, in balìa di una corrente che la trascina alla deriva, lontana da qualsiasi possibilità di approdo. Le pennellate, come colpi delle onde, si frangono le une contro le altre; il colore, pastoso e materico, evoca il movimento scomposto, così come le tinte cupe e notturne, spezzate da bagliori improvvisi.
La tela prende il titolo da una lirica che il poeta Georg Trakl compone proprio in occasione di una visita all’atelier di Kokoschka. E’ lo stesso Kokoschka a descrivere l’incontro tra i due:
“Una sera il poeta Georg Trakl arrivò nel mio squallido studio nel quale avevo dipinto le pareti di nero per far risaltare di più i miei colori. Tranne il grande cavalletto sul quale era il quadro, l’arredamento era costituito da un barile vuoto che serviva da sedia. Offrii del vino a Trakl e continuai a lavorare al mio quadro; egli mi guardava in silenzio … Dalla grande finestra vedevo calare la pallida notte, la luna che sorgeva dai tetti e sul mare di case. Si alzò il vento e l’aria si fece improvvisamente molto fresca. Rabbrividii, il giorno era finito. Preso tra la malinconia e il silenzio, per la prima volta fui conscio del passare del tempo e di come il mio grande amore fosse uscito, calzato di sandali, dal riflesso azzurro del sole per entrare nel regno delle ombre e delle chimere. Il grande quadro che mostra me e la donna tanto amata su un relitto nello spazio era finito. Improvvisamente il silenzio fu rotto dalla voce di Trakl … I miei colori non avevano mentito: la mia mano aveva salvato, dal tempestoso naufragio del mondo, ancora un abbraccio. Il cuore non ha bisogno d’altro per mantenere, nei giorni a venire, un’illusoria promessa di sopravvivenza, una memoria … Georg Trakl vestiva a lutto … il suo dolore era come la luna che si muove davanti al sole oscurandolo. E lentamente recitò a se stesso una poesia … Compose così quella strana lirica La Notte, davanti al mio quadro: Su livide rocce/ precipita, ebbra di morte/ l’ardente sposa del vento”.Kokoschka: la sposa del vento