Nino Martino
Tutti pensano di sapere cos’è il suono. Nell’articolo il brogliaccio del lavoro collettivo di un corso di formazione sull’educazione scientifica tenutosi a Ilbono (Sardegna)
In altri tempi, ormai lontani, la Regione Sarda, con il presidente Renato Soru e su sua iniziativa, finanziò molti progetti per la scuola, per rinnovare la didattica nella scuola. Ogni progetto ebbe un finanziamento di 200.000 €. Sì, avete letto bene: duecentomila euro per ogni singolo progetto. Ne furono fatti diversi, uno lo feci io e ad un altro partecipai. Quello a cui partecipai nella elaborazione fu il laboratorio itinerante. Un furgoncino caricato con ogni ben di dio di strumenti per fare esperimenti dei fisica, che fece il giro dei paesi i più sperduti della Sardegna. Collegato a questo vi furono una serie di interventi sulla formazione degli insegnanti. Questo che riporto qui fa parte di un corso di formazione per gli insegnanti della primaria che tenni a Ibono, per l’Ogliastra. Viene il magone a pensare a come ci si è ridotti oggi, a come ci hanno ridotto
Come quasi tutti i fenomeni a cui siamo abituati quotidianamente il suono può essere di complicata comprensione.
Che cosa è un suono? Qualcuna di voi ha detto (riporto a spanne, non esattamente, credo) che il suono è una interruzione del silenzio. Rimane allora probabilmente da definire cosa è il silenzio… Ma il gioco delle definizioni non porta molto avanti la conoscenza del mondo, non lo ha mai fatto.
Comunque io parlo e qualcuno mi ascolta, sentiamo nelle orecchie delle cose che a volte sono fastidiose e a volte sono noiose…
Puntiamo la nostra attenzione su come produciamo dei suoni. Ci sono diversi modi. Posso usare una corda e pizzicarla, posso battere con un cucchiaino sopra un bicchiere, ecc.
Ho portato un mucchietto di diapason. Il diapason si conosce abbastanza, viene usato per esempio per accordare pianoforti ecc.
Abbiamo cominciato a picchiare con un martelletto gommato (ma si può usare qualunque altra cosa) per ottenere dei suoni, i suoni appaiono molto “puri” e un po’ fastidiosi, e durano a lungo, la vibrazione del diapason dura a lungo. A proposito, perché viene usato un martelletto gommato? Abbiamo usato una forbice e il diapason suonava lo stesso. Ma il suono era proprio lo stesso? La nota di base sì, ma era proprio uguale il suono? Cosa succederebbe se picchiassi con una forbice “gommata”?
IL meccanismo di produzione del suono richiederebbe un altro po’ di esperimenti e forse li faremo, ma l’attenzione si è subito spostata su un fenomeno da … prestidigitatore.
Ho fatto risuonare un diapason, un la. Poi ho bloccato con una mano il diapason ma … abbiamo continuato a sentire il suono, più debole, ma chiaramente udibile.
Perché? Come è possibile?
Si sono fatte molte ipotesi. Una, ingegnosa, diceva che il diapason era fermato ma le onde del suone, le vibrazioni del suono continuavano a viaggiare fino al nostro orecchio. Ma le vibrazioni, il suono, lo sentivamo a lungo, almeno un paio di secondi. Il suono non è lento, viaggia molto veloce, non avevo il modo di misurare la velocità del suono. Si possono fare molte cose nella misura del suono, vedere da che cosa dipende ecc A “La Villette” a Parigi (un grande spazio attrezzato con molte esperienze di fisica per i più piccoli e per i più grandi) cè nche la possibilità di rendere squittenti le nostre voci, si tratta di parlare nell’elio, oppure esistono “lenti” sonore che concentrano il suono in certi punti ecc.
Andate a vedere interne: digitate in google misura velocità suono e vedrete che c’è una quantità enorme di materiale. Tra tutto questo materiale ho visto che è citato anche il sonar. Il sonar è uno strumento sviluppato nella seconda guerra mondiale, nella caccia antisommegibile. Ma è anche in maniera diversa utilizzato dai pipistrelli nel volo. Viene emesso un breve suono, il suono viaggia, rimbalza contro un ostacolo e torna indietro. Misuro il tempo tra andata e ritorno e se so la velocità del suono nell’aria so anche la distanza dell’oggetto. Ma posso mettere il bersaglio a distanza conosciuta, misuro il tempo di andata ritorno e posso calcolarmi la velocità.
Non avevamo la possibilità di avere questi strumenti e quindi non abbiamo proseguito nella ricerca. Incidentalmente misure della velocità del suono erano state fatte in passato, ai tempi di Galileo, senza, ovviamente dei sonar. Come è stato possibile, secondo voi? Sarebbe possibile riprodurre la misure del suono con una nostra classe?
Vi dico subito il risultato della misura della velocità del suono: circa 340 metri al secondo. Il che vuol dire che in tre secondi il suono percorre un po’ più di un chilometro. E’ impensabile misurare la velocità del suono in una stanza di cinque metri per cinque. Per fare cinque metri il suono impiega 0,014 secondi cioè un po’ più di un centesimo di secondo! I riflessi umane sull’ordine di due decimi di secondo cioè circa dieci volte (venti volte) maggiori. Ve lo scordate di misurare la velocità del suono in una stanza con un cronometro e con le orecchie!
Questo vuol dire che quando il diapason viene fermato, l’ultima onda di compressione (suono) prodotta impiega meno di un centesimo di secondo ad arrivare al vostro orecchio, poi più niente. Ma il suono durava almeno due o tre secondi. Non poteva essere quella la spiegazione.
Allora è stata fata l’ipotesi, anche questa ingegnosa, che noi sentissimo il suono che continuava a rimbalzare tra le pareti. Il produttore di suono aveva cessato di produrre, ma il suono continuava ad aleggiare ancora nella stanza, sparendo a poco a poco. Immagine molto poetica. Ma come facciamo a verificare questa ipotesi? Andiamo nel corridoi fuori della scuola e porto DUE diapason. Il suono continua a esserci dopo che il diapason è stato fermato con la mano. Ma qualcuno dice che il corridoi non è proprio all’aperto. Allora andiamo nel cortile, con panorama stupendo sulla valle, e montagne alle spalle, più aperto di così… E porto DUE diapason. Ma nessuno di voi, concentrati come siete sul fenomeno, si rende conto del trucco che sto usando. Il suono prolungato si sente ancora. Per alcuni proviene da una pianta di rosmarino, per altri proviene da un’altra direzione. Torniamo dentro e faccio un’altra magia. Deposito il secondo diapason rovesciato con i rebbi che toccano un pezzo di polistirolo. Adesso faccio risuonare il primo diapason, lo fermo e il suono, ovviamente non si sente più. Massimo sconcerto. Siete invitati a questo punto a scoprire il trucco e a seguire esattamente tutti i miei movimenti. A volte il suono prolungato si sente e a volte no. Ma alla fine qualcuno di voi scopre il trucco: è il secondo diapason che Sì, non c’è altra strada per sopravvivere nella scuola, insieme con gli studenti.suona quando fermo il primo…
A questo punto facciamo girare il secondo diapason e sfioriamo con le dita i rebbi quando io faccio suonare il primo. Ci si accorge subito che il secondo diapason vibra. Era lui che provocava il suono prolungato. Proviamo in diverse posizioni con le casse diversamente orientate
E’ un problema di risonanza. Il tipico problema di risonanza. E’ lo stesso delle formiche sulla corda dell’amaca di paperino: viene dato un impulso al tempo giusto e la corda oscilla sempre di più fino a far rovesciare paperino. Oppure dei carrarmati su un ponte. Oppure il vento che fa oscillare un albero ecc. ecc. Ci sono delle frequenze, diciamo così, naturali di oscillazione. Quando arriva qualche cosa con la stessa frequenza avviene una amplificazione.
Infatti facciamo l’esperimento di prima con due diapason non uguali ma nettamente diversi, Il secondo diapason produce una frequenza assai più alta. Il suono prolungato non c’è, il secondo diapason non si mette a vibrare, non entra in risonanza.
Ma da che cosa dipende la frequenza emessa dal diapason? E’ subito evidente che la frequenza emessa dipende dalla lunghezza del diapason: più è lungo il diapason più è bassa la frequenza. Ma dipende solo dalla lunghezza? In realtà dipende da molte altre cose, ad esempio dalla densità del mezzo, ma non abbiamo la possibilità di indagine in questo senso e io non vi stimolo in questo senso.
Pongo un cavalierino su uno dei due diapason uguali, facendoli vibrare entrambi si nota una modulazione. Questa modulazione (si chiama in termini scientifici il fenomeno dei “battimenti”). Se io sposto il cavalierino verso il basso la modulazione si fa più ampia, più lenta, se io sposto il cavalierino verso l’alto la modulazione si fa assai più veloce. La modulazione dipende dal fatto che le frequenze dei due diapason per via del cavalierino diventano leggermente diverse. La frequenza dipende da dove metto il cavalierino. Ma dipende solo dalla posizione? Cosa succede se metto due masserelle di das? Esperimento infelice: non si sente più niente, il diapason non vibra. Metto allora un pezzo di fil di spago arrotolato strettamente sul cavalierino e ci sembra di sentire una variazione nella modulazione. Allora mette un fil di ferro arrotolato sul cavalierino e ci sembra di sentire più evidente una variazione. Non è solo la posizione dunque che influenza ka frequenza. Dovrei avere a questo punto due cavalierini identici in tutto fuorché nella loro massa. Uno dei due è più “pesante”, è più “massivo” dell’altro. La differenza si sentirebbe allora evidente. La frequenza emessa dipende dalla distribuzione della massa.
A questo punto la nostra attenzione è attirata dalle casse su cui sono montati i diapason. La cassa di risonanza del diapason “la” è assai più grande della cassa su cui è montato il diapason più acuto. Cosa succederebbe se io montassi il diapason più grande sulla cassa più piccola e viceversa? Detto fatto. Il suono diventa diverso, più debole innanzitutto ma anche diverso, non nella frequenza ma c’è qualche cosa che ce lo fa sentire diverso. Facciamo diverse prove. Il diapason senza cassa emette il suono della frequenza giusta ma si sente pochissimo. Se lo avvicino a contatto con il tavolo il suono diventa molto bello. E’ come i carillon che vendono. Posso far girare il meccanismo senza cassa e il suono si sente ma debole, se lo fisso al tavolo lo si sente invece nella sua pienezza.
Il problema della risonanza si sposta nel problema del “timbro” di un suono.
Allora tiriamo fuori dei lunghi molloni. Due persone mettono in oscillazione il mollone tenendolo ai due capi. Si vede subito che è possibile farlo oscillare in modo che si formi un “ventre” e due nodi ( i due nodi sono ai capi tenuti dalle due persone). Oppure in modo che si formino due ventri e tre nodi. Oppure in modo che si formino tre ventri e quattro nodi, ecc.
Una corda può vibrare in tanti modi. Quando io pizzico una corda tesa questa vibra in tutti im odi possibili con una prevalenza di uno di essi a seconda il punto in cui viene pizzicata. Il modo che corrisponde a un solo ventre da origine alla frequenza fondamentale, poi alla prima armonica, poi alla seconda armonica ecc. Nel suono di una certa tonalità sono presenti sempre molte armoniche. L’insieme, la somma di tutte queste armoniche si chiama timbro. E’ quello che distingue uno stradivario da un violino di latta.
Le casse di risonanza amplificano le frequenze emesse, abbiamo visto. La pratica ha portato a costruire delle particolari casse di risonanza come quelle del violino. La loro forma fa sì che vengano rafforzate certe armoniche piuttosto che altre e il risultato è “il bel suono”.
Perché un impianto HI-FI in genere dichiara di amplificare bene le frequenze da 50 a 20.000 hertz (l’hertz è una misura della frequenza indica una oscillazione completa dell’onda al secondo), mentre una radiolina dichiara di amplificare (non bene) le frequenze da 80 a 6000?
La differenza del suono è evidente. Eppure le note di una orchestra si fermano ben prima dei 20.000 hertz. La differenza è proprio costituita dalla presenze delle armoniche. Le armoniche influenzano la forma dell’onda e influenzano quindi il “piacere” che proviamo ad ascoltare un suono di un certo timbro. Le armoniche arrivano abbastanza rapidamente ai 20.000 hertz. Una radiolina consente di sentire la musiche ma taglia tutte le armoniche superiori e il suono appare con un timbro “non buono”, monco.
A questo punto ci siamo trasferiti in un lungo corridoio con il nostro mollone. L’abbiamo disteso per terra e ho fatto partire una oscillazione, che ha viaggiato con una certa velocità lungo il mollone. Fenomeno assai bello a vedersi (pensate ai bambini!).
Domanda: se io allungo di più la molla (da sette metri a undici metri) l’onda viaggia più velocemente o meno velocemente?
Tutti hanno detto che la velocità di propagazione dell’onda rimaneva la stessa, impiegava più tempo ma la distanza era più grande e la velocità rimaneva la stessa.
Come possiamo decidere? Al solito. Proviamo.
Con il mollone più allungato la velocità è risultata in maniera molto evidente molto maggiore!
Siamo passati alle misure effettive e abbiamo trovato in un caso 7 metri al secondo e con la molla allungata 11 metri al secondo, circa, le velocità sono decisamente diverse.
Qualcuno ha fatto l’ipotesi (perplesso, in realtà) che dipendesse dalla distanza, anche se non era chiaro perché.
Allora abbiamo fatto il seguente esperimento: abbiamo preso una certa distanza fissa, poi ho fatto partire l’onda. Poi, mantenendo sempre la stessa distanza ho “stirato” di più la molla. La velocità era molto maggiore.
La velocità dell’onda lungo una corda dipende dalla “tensione” della corda. Infatti a questo punto abbiamo ricordato come si fa ad accordare una chitarra. Per aumentare la frequenza emessa, l’altezza del suono stiro di più la corda attraverso una apposita chiavetta.
In ultimo voglio ritornare al perché si usa un martelletto gommato. Se io uso un altro oggetto, come un cucchiaino, introduco nell’urto altre armoniche non desiderate (la forbice introduceva una nota più alta, stridula). Invece i diapason battuti con un martelletto di gomma producono la nota praticamente senza armoniche. All’oscillografo ciò appare molto evidente. E’ un la a 440 hertz, molto pulito. Il diapason è costruito in quel modo e con quel materiale proprio per questo. Per riprodurre una nota pura, una sola frequenza, con la quale accordare, per esempio il pianoforte.
Battere con una forbice introduce invece delle armoniche non desiderate
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