Dina Lentini
Paesaggi terrestri e alieni, paesaggi mentali e umani.
“La vita è forte. Nasce ovunque, incomprensibilmente ovunque. E ovunque si evolve e diventa cosciente. E noi eravamo una delle sue forme.”
Nei romanzi di fantascienza di Nino Martino gli scienziati inseguono sogni. Sono sogni carichi di realtà: della più imprevedibile, infinitamente mutevole e destabilizzante realtà. Questa dimensione fortemente realistica in cui si muovono uomini e donne delle storie è dovuta al supporto di una filosofia della conoscenza che permette ai protagonisti delle avventure spaziali di non scivolare nel fanatismo o, al contrario, nella paura dei propri ideali.
I viaggiatori proiettati nell’universo alieno dispongono, per la loro sopravvivenza e per la riuscita delle loro missioni, di un bagaglio indispensabile: la consapevolezza della storia personale e collettiva, la concezione umanistica della scienza, il valore dato alla cultura e all’immaginazione e al tempo stesso alla metodologia rigorosa della ricerca. Tutto ciò fornisce la spinta verso il limite e conduce alla riflessione etica sulle possibili linee di sviluppo della scoperta e sulle sue ricadute sul piano sociale, culturale, antropologico. Ma determina anche la giusta flessibilità mentale per ridefinire e in parte modificare i destini individuali dei ricercatori.
La squadra guidata dal comandante Roberto Schmidt si è ulteriormente rafforzata e unita dopo l’esperienza vissuta su Mango III, descritta in “Errore di prospettiva”, primo romanzo della serie. Gli esiti drammatici di quella missione hanno cambiato molte cose e anche le relazioni personali e sentimentali fra i membri del gruppo si sono modificate. In tutti è comunque rimasta inalterata la determinazione a proseguire la ricerca pura secondo le linee delle nuove scienze, l’esobiologia e l’esolinguistica, che comportano la caduta del modello antropocentrico e della gerarchizzazione dell’universo.
Seguendo le indicazioni dei messaggi ricevuti dalla struttura aliena di Mango III, Schmidt e i suoi si avventurano su due pianeti completamente diversi e all’opposto, anzi, tra loro: dai deserti sterilizzati di Semele alla Città Incantata di Agua, rigogliosa di vita.E oltre, fino al pianeta solitario che vaga senza una sua stella dove li attende un’inquietante rivelazione. I piani dei ricercatori devono essere ridefiniti continuamente in seguito alle novità e ai pericoli delle scoperte, ma anche in ragione delle reazioni politiche alla missione che vanno sviluppandosi sulla Terra.
Emerge, poi, un’altra necessità di adeguamento dei propri parametri mentali, dovuta alle incredibili potenzialità emerse dalla nuova tecnologia della Rete, strumentazioni destinate a rimettere in gioco le stesse concezioni di vita, di società, di amore. Destinate a rivelare l’illusorietà di una definizione statica e chiusa di vita.
Già in “Irene”, forse il più visionario e complesso romanzo della serie, Nino Martino aveva sviluppato il tema a lui caro dell’intelligenza artificiale e del confine labile tra umano e non umano. Sitran, il nuovo incredibile personaggio di “Il blu è il colore del tempo”, ripresenta quella tensione conoscitiva irrefrenabile che porta un macchinario a evolversi, a cambiare, a estendere i propri limiti fino a condividere con l’essere umano la capacità di emozione, di fantasia, di desiderio.
In questo percorso le si affiancano altri due compagni di avventura: da un lato, Joseph, lo scienziato autistico di “Errore di prospettiva”, ormai approdato a una serenità e stabilità affettiva che gli consentono di migliorare ulteriormente le sue doti di sensibilità e il suo intuito geniale in un ruolo ormai attivo e dinamico nel gruppo; dall’altra, i personaggi senza nome e senza vita, i super computer quantistici a superconduttori, incontrati sul pianeta solitario, che continuano nella loro eternità di macchine così programmate, isolate nel gelido ambiente necessario al loro funzionamento, a perseguire l’obiettivo impostato dai costruttori.
Il tema del rapporto fra vita e non vita si collega, anche in questo romanzo, alla dimensione esistenziale. In modo ragionato o irriflesso o sognato, in una comunicazione tra umani, ma anche tra umani e IA, i valori cambiano o intuizioni precedenti si confermano, le scelte maturano. Si chiariscono le possibilità di realizzare l’utopia di una ricerca senza sfruttamento, senza prevaricazione e sterminio ad opera della specie più forte, l’utopia di una nuova realtà, umana o semiumana.
Quella che emerge è una nuova specie non competitiva, non aggressiva, ma anche in lotta permanente contro le ideologie irrazionalistiche e vitalistiche, nonchè contro l’ossessione folle di una ricerca priva di slancio culturale ed etico, priva del senso della complessità e sottomessa solo alla logica dei risultati da raggiungere con ogni mezzo. In questo senso il lettore capirà sia l’alternarsi di gioia e disperazione che convivono nei protagonisti al procedere della missione, sia la decisione finale di Yang e Roberto.
“Blu è il colore del tempo”è un romanzo, come gli altri della serie e come gli altri lavori di Nino Martino, costruito con un grande gusto narrativo e con uno stile caldo e coinvolgente. La scrittura ha la capacità di tradurre in semplicità e godibilità problematiche complesse, riesce a far viaggiare il lettore trascinandolo in una tensione senza fine tra paesaggi terrestri, paesaggi alieni, paesaggi mentali, paesaggi umani.
“Blu è il colore di NIno Martino” Un’altra recensione al romanzo “Blu è il colore del tempo” di Franco Ricciardiello sul suo blog “Ai margini del caos”