C’è stato un periodo della storia italiana in cui tutto si apriva, tutto sembrava possibile. Nella cultura, nella letteratura, nella musica era come se si rompesse una cappa di piombo. Ci si liberava e nascevano cose nuove e la sperimentazione in ogni campo non era fine a se stessa e produceva capolavori. Non si negava la cultura, il passato, o altro. Si elaborava, si incorporava, si partiva da lì per aprire nuove strade, nuove frontiere. C’erano contenuti, passione, scelte di parte.
Giorgio Gaslini fu un interprete di quegli anni, per esempio. Riportiamo da “L’Avvenire” del 29 luglio 2014:
“Gaslini era un musicista totale. Compagno di studi di Claudio Abbado e Luciano Berio univa vita artistica e impegno politico. Era “Un militante”, come raccontò nel suo libro “Musica totale. Intuizioni, vita ed esperienze musicali nello spirito del ’68” e come si evidenzia da suoi album come Fabbrica occupata. Lui amava le sfide. E non stava mai fermo. Come ricorda la sua biografia “ha ha al suo attivo più di tremila concerti e cento dischi”. Ha composto lavori sinfonici, opere e balletti per il Teatro alla Scala e per i maggiori teatri italiani. “Iniziatore di correnti musicali e portatore della musica ai giovani in scuole, università, fabbriche, ospedali psichiatrici ha tenuto concerti e partecipato a festival in oltre 60 nazioni.”A Gaslini piaceva essere speciale, arrivare primo.”È stato titolare dei primi corsi di jazz nei Conservatori S. Cecilia di Roma (1972-73) e G. Verdi di Milano (1979-80)” e ha composto Mister O” “la prima opera jazz. Nel 2002 il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, gli ha conferito il premio alla carriera come benemerito dell’arte.”
Molto interessante a proposito di quegli anni un articolo apparso nel 2010 su All About Jazz su un famoso concerto tenuto alla Statale di Milano, 28-30 novembre 1975. Di cui riportiamo qui di seguito l’incipit:
Concerto della Statale 35 anni dopo. “Esattamente trentacinque anni fa (28-30 novembre 1975), nel clima torrido degli anni Settanta, l’aula magna della Statale di Milano ospitava la rassegna “Nuove tendenze del jazz italiano,” quasi una chiamata a raccolta di tutte le forze creative del momento. L’importanza di quell’ esperienza – unica – promossa dal Movimento studentesco va oggi valutata sia sul piano storico che musicale: essa infatti consentì a tanti giovani di identificarsi con una intera generazione di musicisti che ha tentato velleitariamente di cambiare il mondo in musica. Abbiamo provato a raccontare cosa accadde durante quella tre-giorni attraverso il racconto di chi c’era. Con le testimonianze di Sergio Veschi, Patrizia Scascitelli, Guido Mazzon, Roberto Bellatalla, Toni Rusconi, Gaetano Liguori, Roberto Del Piano, Filippo Monico, Pino Distaso, Riccardo Lay, Giorgio Gaslini.”
Qui sotto riportiamo una nostra video chiacchierata con un musicista jazz che proprio quegli anni ha attraversato e vissuto a fondo, Roberto del Piano, che proprio recentemente ha ripreso il suo basso in mano ed è tornato a suonare. L’intervista è stata divisa in tre video di una decina di minuti l’uno per una maggiore fruibilità.
1. Tutto iniziò negli anni ’60. Gli umori e i fermenti di quegli anni.
2. Gli anni dei concerti, delle sperimentazioni riuscite.
3. Il punto di svolta del ’79. La ripresa dell’attività musicale negli ultimissimi anni, piccole considerazioni amare conclusive.
L’inizio. Un piccolo stralcio dal video che segue.
Cominciò negli anni sessanta, siamo in piena epoca beat e in tutti, in tutti i licei c’era qualche complessino che sorgeva e nasceva e succede anche nel mio. Qualcuno mi dice che stanno mettendo insieme una roba e cercano un bassista. Io non sapevo bene che cosa fosse. Mi informo, chiedo un po’ in giro e scopro che il basso è una specie di chitarra con quattro corde invece che sei. Io avevo non una chitarra, ma un pezzo di legno chiamato chitarra che avevo comprato per diecimila lire insieme a amplificatore tramite uno di quei giornalini dell’epoca, non mi ricordo se era Ciao Amici o qualcosa del genere. Comunque per 10.000 lire ho comprato una chitarra rossa, insuonabile, e un amplificatore e allora ho tolto due corde, ne ho lasciate 4 e mi sono presentato all’audizione a casa la casa di uno di questi. Loro ne sapevano meno di me e sono stato ingaggiato subito. Poi ho convinto il mio padrino di battesimo a comprarmi un basso e ho preso un affare che era di una marca che non sono mai più riuscito a trovare in internet, oggi, perché era talmente una roba che non ne è rimasta traccia assolutamente, e un amplificatore per basso che era così poco potente che invece di avere di avere il cono rivolto in avanti ce l’aveva puntato verso il basso, in modo che rimbalzando per terra il suono prendeva un po’ di vigore. Questa è stata è stata la mia prima strumentazione E così abbiamo cominciato andare in giro a strimpellare e uno dei membri dei membri di questa di questa combriccola, la chitarra solista, era Gabriele Salvatore, quel Gabriele. Poi da lì è un po’ tutto una vicenda: un po’ di tempo dopo alcuni dei ragazzini sono usciti e sono entrati elementi di un altro gruppo che nel frattempo si era sciolto, era un gruppo chiamato GV man . GV stava per Giuseppe Verdi che era il conservatorio
Ed era il gruppo dove suonava anche Gaetano Liguori, giovanissimo, ma non è lui che viene con noi, sono l’organista e un altro che non mi ricordo. Insomma arrivano due più grandi di noi, uno dei quali aveva la patente e aveva una specie di furgoncino. Noi cominciamo andare in giro a suonare nelle balere. Così è nata tutta la vicenda e ci siamo trasformati in un gruppo professionale, anche se non molto creativo. Eravamo delle specie di meretrici della musica beat, nel senso che la nostra specialità era di fare da orchestra a cantanti che non avevano il loro gruppo. Davvero eravamo capaci di imparare il loro repertorio in una settimana e andavamo in giro e ci vendevamo. così guadagnavamo un sacco di soldi.”
Gli anni dei concerti, delle sperimentazioni riuscite.Un altro piccolo stralcio dal video che segue.
In quell’epoca Milano, stiamo parlando degli anni ’71-’72, gli anni in cui conobbi Guido Mazzon, era una città piena di fermento culturale, letterario, musicale e politico. Era veramente una città piena di di curiosità, di voglia di fare, di novità, solo che quelli riuscivano, insomma i possibili addetti ai lavori, erano veramente pochi
Poi ebbi un colpo di fortuna. Dentro al gruppo in cui eravamo tutti Gaetano Liguori e Guido Mazzon litigarono.
E rimaniamo io e Filippo Monico e noi facciamo per un po’ di tempo da soli, da sessione di ritmica. Facevamo cinque concerti all’anno. Anche se Milano era una città con grande fermento culturale, cinque concerti facevamo.
E succede che Arrigo Polillo ci sente e decide di imporci. Lui ere il vicepresidente della Mondadori e il direttore di musica jazz, era una specie di mammasantissima e ci impose al festival di Verona, al Teatro Romano, nel 1973 a suonare nella stessa serata con Miles Davis che doveva essere il primo per contratto.
E succede che Miles Davis fa il più brutto concerto della sua carriera, credo, dopo aver indispettito gli spettatori perché arrivò sul palco con un’ora e mezza di ritardo. Non solo ma la gente che era all’aperto si beccò venti minuti di pioggia e noi non potevamo suonare perché per contratto lui doveva suonare per primo. Io ho una grande ammirazione e amo immensamente Miles ma, insomma, fa un concerto orribile, per cui il pubblico prende a ben volere noi. Non solo il pubblico ma anche i giornalisti. Beh noi siamo passati un giorno da cinque concerti all’anno a cinquanta. Al punto che quando quando la casa discografica di Mina chiede a Franco Fayenz di segnalare qualche jazzista, lui ci ha segnalato. Avevamo un contratto discografico, ci pagavano lo studio, pubblicavano i dischi facendo la pubblicità e vendevamo. Credo che arrivammo tipo diecimila copie. Una roba che adesso nessun jazzista italiano ma non solo italiano le vende
…
E poi è vero che che noi, cioè tutti i musicisti di quel periodo là, ci incontravamo. Capitava perché andavamo a tutti i Festival dell’Unità e eravamo sempre gli stessi perché non c’erano tantissimi gruppi . Erano anche gli anni in cui arrivava Anthony Braxton e c’erano i ragazzini che andavano a sentirlo, ma a migliaia. Erano lì e lo guardavano
Al festival dell’Unità suonava Cecil Taylor. Al Festival dell’Unità. Detto adesso sembra fantascienza.
Il punto di svolta del ’79. La ripresa dell’attività musicale negli ultimissimi anni, piccole considerazioni amare conclusive. Ultimo stralcio dall’intervista video che segue.
il problema è che nel 1979 finisce c’è una data simbolo, c’è una data simbolica che è il concerto all’Arena di Milano perché sarebbe dovuto servire per raccogliere fondi per per curare Demetrio Stratos. La notte prima del concerto Demetrio Stratos morì. I soldi allora sono serviti per dare una mano alla vedova e alla figlia. Però a quel concertone ha partecipato anche gente che non c’entrava niente. Io non dovevo partecipare ma poi vi dico cosa è successo e ho partecipato anch’io. Però quelle 60.000 persone che avrebbe potuto essere un inizio per un grande futuro in realtà sono state la fine.
Laura e io proviamo ad ascoltare la musica che trasmette una radio che a quei tempi era eccellente, dal punto di vista musicale. Non resistiamo più di due minuti. Non è possibile per noi ascoltare questo tipo di musica. Questo mi fa pensare che c’è stata un involuzione del gusto terrificante. È vero che adesso, ancora adesso, ci sono un sacco di musiche e di musicisti interessanti e non solo nel Jazz. Io ogni tanto ne scopro qualcuno strepitosamente bravo. Uno degli ultimi che abbiamo scoperto è stato Dhafer Youssef. Strepitoso. Cioè tu lo senti e ha un livello stratosferico. Ma chi lo conosce? Lo conosciamo io e pochi altri
E lo stesso vale lo stesso per per certi musicisti che praticano l’improvvisazione radicale. A me è capitato recentemente di dividere una serata con Ken Vandermark. Chi sa chi è Ken Vandermark? Io lo so e magari voi. No, non siamo in tanti, siamo proprio, ma veramente, quattro gatti. Questo non vuol dire che non bisogna essere quattro gatti combattivi e continuarlo a essere.
Tanto lo so. Nel corso di tutta la vita sono stato un minoritario perdente, sia politicamente che che musicalmente. Ma combattere battaglie in direzione ostinate e contraria è la cosa che mi diverte
Una nota da parte della redazione. In quegli anni, pieni di ideali e di idee volevamo cambiare il mondo, non volevamo, in genere, fare carriera, sgomitare per aver più potere. Questo si rifletteva, quindi, in tutta la produzione letteraria, artistica, musicale, perché il sottofondo, il punto di partenza di ogni creazione artistica, letteraria, musicale era il cambiamento, il radicale cambiamento di una società. Intendiamoci, facitori di fuffa c’erano anche allora, stupidaggini furono fatte e in gran numero. Nella complessità di una società questo è normale. Ora ci sembra che la maggioranza, non tutti, sia stata convinta che cambiare il mondo è illusorio, inutile. Ma se non si vuole cambiare questo mondo di guerre, di sopraffazione, di violenza e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, allora quello che si produce nell’arte, nella letteratura, nella musica deve adattarsi a questo mondo. Altrimenti non si fa carriera, in questa società, non si ha potere, non si condivide la soddisfazione di schiacciare qualcuno. E il piattume, l’allineamento diventa imperante.
Qui di seguito la copertina fronte retro del disco appena uscito di Roberto del Piano, nella sua ripresa musicale. Seguiranno ormai altri dischi, altri concerti.
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