Giovanna Repetto
ogni passeggiata è un’avventura
A Terracina convivono tre città. Forse di più, non pongo limiti, ma tre di sicuro, suddivise fisicamente dal posizionamento a diverse altezze. Solo apparentemente, perché in realtà sono intrecciate fra loro come i fili di un arazzo. La città bassa, quella più immediatamente percepibile all’arrivo, è la città di mare, con il porto e i pescherecci, e le pescherie trasformate in friggitorie e self-service di gastronomia, e i ristoranti e le spiagge, e il bel lungomare che offre una passeggiata di tre chilometri (insieme a una pista ciclabile degna di tal nome, cosa rara!) e il centro con i negozi e i bar, e quell’aria già partenopea che fa ti sentire alle soglie del sud.
Poi c’è la città antica, archeologica, dominata da quel prodigio che è il tempio di Giove Anxur, così maestoso sul monte che domina il mare, scortato dalla rupe verticale del Pisco Montano. Uno scenario glorioso e per ciò stesso sacro. Le grandi arcate illuminate di notte lo rendono visibile da tutto il golfo, come una corona infuocata sulla cima del monte.
E poi le rovine del foro, e i basoli dell’Appia Antica che passava proprio lì, in mezzo al centro abitato. Ancora si scava, e con profitto, perché qui solo a grattare con l’unghia si scoprono meraviglie. Ora che abbiamo detto di queste due città, ecco la terza, misteriosa e piena di memorie. È la Terracina medioevale, la città vecchia arrampicata sulle pendici del monte, in posizione scomoda ma resa necessaria dalla paura, chiusa in difesa dalle scorrerie saracene.
La torre Frumentaria e il castello dei Frangipane ne sono testimonianza insieme al Duomo costruito sulle rovine di un tempio antico di cui sembra aver assorbito, per vie misteriose, il fascino pagano. Il fregio a mosaico che corre sul frontone offre simboli arcani (mostri, aquile, diavoli e uccelli insieme a mitici cavalieri) non ancora del tutto decifrati. E i leoni: come potrebbe fare a meno, Terracina, dei suoi leoni di pietra, che ti aspettano a tradimento per la via! Buttati là come sassi, levigati e consunti, la cui maestà tuttavia pare accresciuta da ogni insulto del tempo.
Di questa città io subisco un fascino costantemente rinnovato. Non c’è volta che non mi sorprenda con nuovi dettagli. Nel giorno di Pasqua è stato il profumo delle zagare che emanava dagli aranci del corso, traboccanti di frutti e fiori insieme.
Un’altra volta fu la scoperta di una piccola libreria piena di chicche, alcune di produzione propria (ora chiusa definitivamente, con mio grande dolore!). Vi trovai una serie di libriccini, uno più bello dell’altro, deliziosamente illustrati, dedicati a particolari aspetti della storia locale. Ne acquistai uno che parlava del Fons Neptunius, una misteriosa sorgente dalle acque velenose. Un libro di tutt’altro genere, che si potrebbe definire teologico-poliziesco, raccontava la morte sospetta di Tommaso d’Aquino, forse avvelenato con un piatto di alici mentre era in visita presso il vescovo di Terracina. Metodo subdolo, che lo lasciò vivere abbastanza da raggiungere l’abbazia di Fossanova, dove spirò nel 1274.
Qui funziona così: storia e leggenda si mescolano alle più antiche mitologie, trovando nel paesaggio fascinoso il complice ideale all’infittirsi dei misteri.
L’ultima sorpresa invece è fresca di quest’anno: un racconto di Pasolini dedicato a Terracina, edito da Garzanti, trovato casualmente in libreria. Un testo odoroso di mare, echeggiante di quelle voci e quei rumori che animano i giorni di pesca. Ragazzi di vita in trasferta. Un’altra occasione per rivivere l’atmosfera del vecchio porto.
Continuo a tornarci, di anno in anno, ogni passeggiata è un’avventura. E lo dico senza paura di sbagliare: Terracina non smetterà mai di sorprendermi.
Una risposta a “Passeggiando a Terracina”
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Fosse meglio amministrata ci sarebbe un turismo colto e spalmato su 12 mesi…W Terracina ma spero sempre in una miglior gestione
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