racconto di Mario Pesce
Un uomo nel braccio della morte
I primi sette secondi sono importanti.
La prima immagine che colpisce l’occhio, le prime parole che catturano la tua attenzione.
Sette secondi e sai cosa vuoi.
Sai cosa vuole lui.
Anche adesso, qui nello spazio immurato riempito di luce artificiale del braccio della morte (come i pazzi che si sono chiusi fuori chiamano questo posto), rifletto ancora su quei primi sette secondi.
Con la guardia all’ingresso, non sono andati troppo bene. Ha dato un’occhiata svogliata alla mia figura, che ammetto non era granché, intubata nella divisa arancione del carcere, con neanche ancora la fettuccia eponima cucita addosso.
Qui appaiono molto trascurati, in effetti.
Ma subito dopo ha letto la mia scheda, e si è visto il disprezzo nella piega delle labbra. Il disgusto nell’incresparsi della pelle alla radice del naso (sono bravo a leggere i microsegnali, non sarei quello che sono, altrimenti).
Ho guardato la sua barba malfatta, la divisa trasandata, il posacenere di pesante cristallo così vintage, riempito di cicche di sigarette consumate a metà e mi sono detto che uno come lui sicuramente prima di andare a dormire legge Chandler o magari Lansdale.
Un tipo da Noir, Hard-Boiled.
Il suo socio invece, coi tatuaggi tribali che sporgevano dal colletto e dai polsini, il sorrisetto ironico e la mano che batteva a ritmo sul manico del manganello alla cintola, deve invece trovarsi bene con l’Urban Dark, e magari una spruzzata di Weird.
Due macchiette. Ridicoli.
E ripenso a come scelgo – sceglievo.
Pensate di essere in una libreria. E c’è quella biondina dai capelli tagliati corti alla cassa. La guardi un attimo e poi distogli lo sguardo, imbarazzato, mentre lei si volta verso di te.
Ti concentri sui libri in esposizione.
E davanti a te vedi solo copertine di libri di cui in buona parte non sai nulla. Difficile leggere tutte le recensioni, ce ne sono troppe in giro e tutte interessanti. Anche quelle scritte male hanno sempre qualcosa di utile da dirti. E così alla fine non ne leggi nessuna e vai al buio.
E guardi e riguardi le copertine. Neanche i titoli, proprio i colori.
E quando un colore ti colpisce allora e solo allora leggi il titolo.
E dopo il titolo la quarta di copertina, e magari il risvolto.
“Se cerca qualcosa di fantascienza, la trova sullo scaffale di fronte”, ti scuote la voce gentile della biondina.
Ma va’, qui tengono addirittura la fantascienza separata? Ormai quasi non si usa più.
Mi piacciono queste vecchie librerie.
Legate ancora a schemi, a scaffali con le targhette scritte: qui cucina, là viaggi, più oltre
bambini.
Davvero carina, la biondina.
E torniamo ai sette secondi.
Ci possono essere frasi che ti colpiscono, incipit memorabili o paragrafi trovati a caso sfogliando le pagine. Ma se apri il libro e lo sfogli, vuol dire che nella tua testa hai già formato un’immagine sulla base della copertina, e delle parole chiave che trovi nel risvolto e nella quarta: Grimdark, Vampiri, Sword Fantasy, Dieselpunk… decine e decine di parole che servono per inquadrare il bersaglio, scegliere l’obiettivo, puntare alla preda.
Come quella biondina: studentessa prestata alla libreria, che ci lavora part time. E sai già come potresti avvicinarti a lei.
Oh certo, magari ti sbagli, e dietro la copertina c’è nascosto tutto un altro libro. Ma intanto ti dai un sistema, uno schema. Non spari a caso, ma con un metodo.
Poi, ci sono anche quelli che non scelgono le etichette: io leggo Thomas Thirugnanasampanthamoorthy, non rientra in nessun genere ma mi piace quello che scrive, a prescindere! Senza neanche rendersi conto che hanno fatto diventare un’etichetta il nome del loro scrittore preferito.
Lo hanno trasformato in genere. Da persona a targhetta.
Ridacchio tra me, pensandoci mentre mi richiudono le catene ai polsi ed alle caviglie per riportarmi in cella.
Dopo avermi accuratamente appiccicato la fettuccia eponima sulla divisa del carcere.
E allora rido apertamente, mentre loro mi guardano come fossi impazzito.
Ma io rido perché so chi sono, e cosa faccio.
Sono un etichettatore seriale.
E faccio apertamente quello che voi non avete neanche il coraggio di dire ad alta voce.
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