Mario Pesce
Recensione al libro di Daniela Piegai “Ballata per Lima”.
– Come ti chiami? – chiese la ragazza. Si era sciolta i capelli e si era tolta le scarpe: appariva esile e giovane in confronto all’uomo così alto. Lui la guardava con una specie di bizzarra tenerezza negli occhi chiari: – E’ un pezzo che mi chiamano soltanto l’Olandese.
– Come ti chiami? – chiese la ragazza. Si era sciolta i capelli e si era tolta le scarpe: appariva esile e giovane in confronto all’uomo così alto. Lui la guardava con una specie di bizzarra tenerezza negli occhi chiari: – E’ un pezzo che mi chiamano soltanto l’Olandese.
Così si presenta al lettore uno dei personaggi di Ballata per Lima, di Daniela Piegai (1980), un libro dai molti protagonisti, nel quale lui rappresenta il pirata, un po’ Salgari, un po’ Harlock, che ha scelto la via delle stelle per ottenere la libertà. Spesso troviamo questo personaggio, in molti libri: il ribelle che rinnega la sua origine privilegiata per allontanarsi da ciò che ritiene oppressione o ingiustizia, o addirittura per schierarsi dalla parte degli ultimi. Il Corsaro Nero e Sandokan hanno dato buoni esempi da seguire, nell’immaginario collettivo.
– Chi è lei? – chiese l’ufficiale.
– Mi chiamano l’Olandese.
– Le ho chiesto il suo nome – insistette l’ufficiale.
– Jan Van Pelt – mormorò l’Olandese.
Nel suo nome si mescolano varie suggestioni…
Certamente voluto e palese l’accostamento immediato all’Olandese Volante, il leggendario capitano Van der Decken costretto a vagare per aver voluto a tutti costi passare il Capo di Buona Speranza, a dispetto di Dio e facendo addirittura un patto col Diavolo.
Ed in effetti il nostro Olandese ha violato i limiti dello spazio, esplorando per primo le rotte interne, e disertando in seguito, legandosi quindi a tutti gli altri ribelli che rinnegano il potere costituito.
Anche se si può pensare che, nel suo caso, il suo eterno girovagare nello spazio – interrotto solo traumaticamente, quando viene forzato a unirsi alla ciurma del rosso, dopo essere stato ingannato e rapito – è effetto di una scelta e non di una maledizione.
Del suo vero nome, che sussurra quando costretto, in quanto si tratta di parole che evocano un eroe, una leggenda tra i bravi allievi dell’Accademia Spaziale, un fardello troppo pesante o almeno ritenuto tale da lui stesso che pure non esita ad usarlo per raggiungere i suoi scopi, è evidente la derivazione dai Peanuts, ma Daniela Piegai non ci spiega se lui sia discendente più di Linus o di Lucy, anche se il suo attardarsi a volte in considerazioni filosofiche fa pensare di più al primo.
L’Olandese tentava di ricordarsi com’era, quando credeva di essere il cavaliere senza macchia e senza paura, quando ancora le delusioni dovevano venire, e lui CREDEVA in quello che faceva. Quando i mondi da vedere erano una sfida alla quale non poteva sottrarsi. Quando l’avidità di vivere l’aveva spinto verso ogni rischio, solo perché era bello conoscere tutto.
Anche la disillusione e il disincanto fanno parte del personaggio. Il suo essere eroe senza volersi riconoscere come tale, il rifiutare le responsabilità che ne derivano, per mantenere la propria libertà anche a scapito della coscienza, per poter vivere la propria vita da solo, come capita.
Ovviamente, è solo una menzogna che racconta a se stesso. In realtà, la sua coscienza è molto più presente e attiva di quanto voglia ammettere. Solo, si muove in direzioni e con metodo leggermente diverso da quello della morale costituita nella quale lo hanno cresciuto e che per reazione lo ha fatto scegliere la via delle stelle.
Ma non c’è niente da fare, da una parte il suo desiderio di libertà lo fa allontanare dalle persone, dall’altro sa che questa stessa libertà passa per quella degli altri. E bisogna alla fine malgrado tutte le fughe e i nascondimenti, anche combattere, scontrarsi con violenza con chi quella libertà la vuole negare.
Si diresse verso la sua cuccetta, per non vedere e non sentire più nulla. Il desiderio dell’irresponsabilità era forte e acuto, dentro di lui: sogni, soltanto sogni, voleva.
– “Cosa diavolo deve fare un uomo” – si disse triste, – “per avere un po’ di pace?”.
Ovviamente, quando scoppia la battaglia il suo posto è in prima linea, come tutti gli eroi che si rispettino.
L’Olandese si volse verso il rosso con un ghigno livido nella luce accecante: – E ora, vecchio compagno, tocca a noi! Fatti sotto, amico, ci vediamo a Lima, o all’inferno!
Eppure quando finalmente si arriva allo scontro per decidere la libertà di Lima, ecco che quella stessa battaglia accade quando la Macchina è già sconfitta. In realtà il Nuovo Ordine che ha cercato di occupare la Tortuga delle stelle, si è già dissolto e i Crociati avanzano per inerzia, senza ideali ma ugualmente senza volerlo ammettere.
Lima aveva già vinto, indipendentemente dallo scontro.
– “Perché non hanno aspettato che si combattesse la battaglia?” – si chiedeva l’Olandese. – “Perché rischiato la pelle in un’impresa così assurda come aprire taverne in una città assediata? Per amore di bottega o di libertà? E perché gli uomini hanno sempre mille motivi per fare qualcosa o per non farla? Complessi bastardi capaci di fare quasi tutto, idealisti imbroglioni, la bocca che si apre per giurare e le dita che si incrociano per invalidare il giuramento (vecchio espediente di crede ancora che esistano il bene e il male), angeli sporchi di mille mitologie, di mille storie, con assai più di mille leggende alle spalle, raccontatori di fiabe che qualche volta ci credono, mangiatori di sogni…”.
Nel titolo del romanzo, la Ballata richiama certamente ad altri titoli, libri e film, ma a me richiama soprattutto quello stupendo western scanzonato con un grandissimo Lee Marvin e Clint Eastwood che è La ballata della città senza nome, in cui protagonista vera è la città, in cui la libertà è la sua ragion d’essere, in cui ci si dà le proprie leggi, in cui una donna (splendida Jean Seberg) può avere due mariti, in cui può stare anche il predicatore, libero come tutti, anche di cercare di redimere una comunità che paradossalmente (e realmente) crolla nel momento in cui la rispettabilità la infetta. Riportando i protagonisti, almeno buona parte di essi, di nuovo sulla strada, ad inseguire verso ovest la loro libertà.
Il titolo originale del film – Paint Your Wagon – richiama al Go West! dell’immaginario della Frontiera, al movimento, alla ricerca continua. E alla fine della battaglia per Lima, alla fine del romanzo, quello che rimane ai tutti i vari protagonisti sono finali aperti. Tutti loro ci vengono lasciati in chiusura della ballata all’inizio di nuovi percorsi.
E l’Olandese non è diverso dagli altri.
Sembra quasi che con la loro storia Ballata per Lima voglia dirci che la libertà, questa cosa per la quale sono fuggiti e apparentemente hanno combattuto, non è qualcosa di concreto, un oggetto che si può appunto conquistare e trattenere, ma piuttosto un processo in divenire. L’opposto della libertà è l’assenza di alternative, il percorso prefissato, le regole che incasellano l’esistenza in un tutto predeterminato appartiene al mondo di concretezze in cui si inquadrano i Crociati del Nuovo Ordine.
Jacques Monod diceva (a proposito dell’anima, ma il concetto è abbastanza simile) che non si può smontare una motocicletta ed ottenere un secchio di velocità, e probabilmente per la libertà è la stessa cosa.
L’Olandese, per parte sua ci lascia con un’occasione perduta dietro le spalle, e allo stesso tempo un sogno in perenne attesa di realizzarsi.
Una Ragazza sul suo barcone, nel pianeta dei canali, interrogava la nebbia, triste senza un motivo preciso, come se avesse perduto qualcosa, nel corso dei giorni, e non sapesse neppure lei cosa, quando, o dove; e tuttavia lo continuava a cercare, – “Siamo pescatori di sogni” – pensava, – “e non abboccano mai…”.
Se volete leggere qualcosa d’altro sull’argomento. potete provare la recensione di Ballata per Lima, di Romina Braggion qua:
https://rominabraggion.blogspot.com/2019/09/recensione-ballata-per-lima.html
Ballata per Lima
Oppure anche l’articolo assai completo di Laura Coci su Daniela Piegai e sulle sue opere in Vitamine Vaganti:
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Alberto
nino